Il governo approva il cosiddetto Decreto Agosto con la formula ormai consueta del “salvo intese”. Così anche misure che comunque dovranno poi superare il vaglio del parlamento, dopo essere state annunciate ed aver beneficiato dei titoli dei giornali, possono in ogni caso essere ancora riviste e, se del caso, modificate. La somma degli interventi governativi in epoca Covid (considerando anche i decreti Cura Italia e Rilancio) sale quindi a circa 100 miliardi. Soldi che, teniamolo sempre a mente, non ci sono stati regalati ma che dovranno essere restituiti a tassi di mercato.
E’ ormai diventata una consuetudine, in situazioni di conclamata emergenza quando la via d’uscita non può sicuramente essere quella di limitarsi a proseguire sulla strada sino a quel punto percorsa, ricorrere alla suggestione del “Piano Marshall”. “Qui ci vuole un Piano Marshall”, si dice infatti in questi casi. Una sorta di antidoto obbligato, la soluzione efficace per ogni situazione di crisi drammatica.
Il male di questo Paese si chiama “presentismo”. Di solo presente, infatti, si parla e ci si occupa oggigiorno. Il passato si interpreta disinvoltamente secondo le proprie personali convenienze. Il futuro, invece, aldilà delle parole, non interessa realisticamente a nessuno.
Dopo aver ascoltato per mesi espressioni inutilmente roboanti con frequente ricorso addirittura a metafore belliche (bazooka, eccezionale potenza di fuoco …) per descrivere l’impegno del governo nei confronti dei suoi cittadini afflitti dalla più pesante crisi dal dopoguerra in poi, alla fine, ci troviamo sempre a dover constatare che la montagna partorisce il topolino. O meglio, in taluni casi, non riesce neppure a partorire quello.
“Quando gli scopi si immiseriscono, quando lo sguardo di un uomo politico è fisso sui sondaggi ormai quotidiani o al massimo sulla prossima scadenza elettorale, l’intero edificio della rappresentanza e della visione politiche vacilla, emergono individui che non riuscendo più ad essere autorevoli sono tentati di farsi autoritari, quasi tutto si riduce ad un’alternanza di impresentabili proteste di piazza e di irrealizzabili promesse elettorali”.
Basta andare su internet e digitare la parola “bonus” per scoprire quante declinazioni abbia ormai assunto questa parola nel lessico degli ultimi provvedimenti governativi, peraltro tutti finanziati con ricorso al debito. Detto in altre parole, finanziati con soldi che non ci sono. Per fronteggiare l’emergenza ne è partita una nuova raffica. Bonus baby sitter, bonus vacanze, bonus biciclette, bonus centri estivi, addirittura bonus nonni (sì, proprio così, i nonni pagati dallo Stato per fare … i nonni).
Un vecchio adagio dice che spesso le statistiche vengono utilizzate un po’ come l’ubriaco utilizza i lampioni. Più per sostegno che per illuminazione. Più per trovare conferma delle proprie tesi che per cercare effettivamente la verità.
I dati ufficiali del Dipartimento delle Finanze sulle dichiarazioni IRPEF degli italiani del 2019 (anno d’imposta 2018), resi noti di recente, ci consentono di fare qualche riflessione in grado di avvalorare l’adagio appena citato.
Da almeno venticinque anni l’economia italiana segna il passo.
Alla vigilia della seconda guerra mondiale (1938), il reddito medio di un italiano era poco più della metà (54%) di quello di un americano, due terzi di quello di un tedesco (66%) e quasi tre quarti di quello di un francese (74%). Quasi sessant’anni dopo, nel 1995, questo divario si era significativamente ridotto. Raggiungendo il 70% del reddito medio di un americano e quasi colmando del tutto le differenze con un tedesco (89%) o un francese (94%).
Le vignette di Altan hanno spesso l’efficacia di un editoriale. In una delle più significative, fa dire ai suoi personaggi che se è vero che il Paese ha bisogno di riforme, è ancor più vero che le riforme avrebbero prima di tutto bisogno di un Paese. Questo per ricordarci, nella maniera impietosa tipica di quest’autore satirico ormai friulano d’adozione, che non bastano le necessità o le opportunità a determinare i risultati, ma occorrono soprattutto le persone giuste ed il supporto delle comunità organizzate.
Inizia la fase 3 e con essa la ripresa della circolazione interregionale, interrotta da marzo scorso. La forza del virus è infatti senza dubbio in calo. Per qualcuno il virus addirittura non esiste più e per altri (per fortuna pochi) non è davvero mai esistito. Emerge un comprensibile e diffuso desiderio di ritorno alla normalità, peraltro incoraggiato da disinvolti comportamenti di taluni esponenti politici che iniziano a fare a meno anche in pubblico delle misure di protezione obbligatorie ancora in vigore.
Pagine