Inizia la fase 3 e con essa la ripresa della circolazione interregionale, interrotta da marzo scorso. La forza del virus è infatti senza dubbio in calo. Per qualcuno il virus addirittura non esiste più e per altri (per fortuna pochi) non è davvero mai esistito. Emerge un comprensibile e diffuso desiderio di ritorno alla normalità, peraltro incoraggiato da disinvolti comportamenti di taluni esponenti politici che iniziano a fare a meno anche in pubblico delle misure di protezione obbligatorie ancora in vigore.
Secondo le più autorevoli fonti della comunità scientifica internazionale, è plausibile ritenere che entro la fine dell’anno in corso saranno disponibili efficaci terapie contro il virus e, successivamente, un vaccino entro la fine dell’anno successivo. Col che l’emergenza sanitaria, da questo punto di vista, potrà dirsi effettivamente conclusa. Potenzialmente per tutti gli abitanti del pianeta, salvo il non trascurabile tema dei costi e della distribuzione dei nuovi farmaci. Molto meno chiare e, soprattutto, uniformi sono invece le prospettive dal punto di vista economico. La cui terapia non è affatto univoca ma dipende dalle scelte che i singoli Stati nazionali e le organizzazioni sovranazionali a cui questi fanno riferimento (nel nostro caso, l’Europa) sapranno mettere in campo. Non tanto nell’emergenza, quanto piuttosto nella visione strategica del futuro. Perché i tempi migliori non si aspettano, ma si preparano.
L’Europa, diciamolo con franchezza, questa volta il suo lo sta facendo. Un’immediata immissione di liquidità tramite la BCE a basso costo (oltre ad altri strumenti già messi in atto: BEI, SURE, MES) ed il progetto di un piano strategico di lungo termine (il cosiddetto “Recovery Plan”) che prevede importanti sussidi (cioè senza obbligo di restituzione) e prestiti a tasso bassissimo, con una particolare attenzione proprio per il nostro Paese. In questo caso, però, è bene essere chiari, nulla ci sarà dato se non verrà anche presentato un dettagliato piano nazionale di investimenti e di riforme per il rilancio strutturale del nostro Paese dopo un trentennio di lento ma progressivo declino.
Per intenderci, la liquidità è solo una sorta di “antidolorifico”. Necessaria nel momento emergenziale. Ma non atta a curare la malattia, bensì solo ad alleviare l’effetto dei suoi sintomi più acuti.
Dopo aver annunciato risorse spropositate (in larga parte rimaste sulla carta, anche per effetto del peso della nostra macchina burocratica), dopo aver dato (o più esattamente, promesso) soldi a tutti (anche a chi – e si tratta della maggioranza dei cittadini italiani – problemi di liquidità non ne aveva avuti), c’è da chiedersi quale Progetto Paese sia oggi nelle teste dei nostri governanti e quali alternative siano nelle menti dell’opposizione al riguardo. In altre parole, quale idea di Italia del futuro abbiamo e quali devono essere le priorità in termini di riforme e di investimenti perché il ritardo che abbiamo accumulato negli ultimi trent’anni con le economie più avanzate del mondo non sia destinato ad allargarsi ulteriormente anziché restringersi?
Invece di postare sui social le foto delle proprie ferie con la scusa di reclamizzare le bellezze del nostro Paese, forse avremmo il diritto di pretendere da qualche nostro importante ministro l’avvio di una fase di consultazione delle nostre migliori menti prospettiche perché questo Progetto Paese, questa idea dell’Italia che verrà, cominci a prendere corpo traendo anche spunto dagli insegnamenti che questa fase di emergenza ci ha suggerito.
Continuo a ritenere (non da solo, anche Massimo Cacciari si è espresso di recente in questo senso) che sia il momento di una fase costituente. Se non sarà così, è quantomeno il momento di coinvolgere gli italiani in un progetto per il futuro che sappia riunirli per il raggiungimento dell’obiettivo. L’alternativa, sia chiaro, è che siano indotti a fare da soli. Con l’unica arma storicamente a loro disposizione: l’evasione fiscale.
Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti
05/06/2020 Il Messaggero Veneto