Le vignette di Altan hanno spesso l’efficacia di un editoriale. In una delle più significative, fa dire ai suoi personaggi che se è vero che il Paese ha bisogno di riforme, è ancor più vero che le riforme avrebbero prima di tutto bisogno di un Paese. Questo per ricordarci, nella maniera impietosa tipica di quest’autore satirico ormai friulano d’adozione, che non bastano le necessità o le opportunità a determinare i risultati, ma occorrono soprattutto le persone giuste ed il supporto delle comunità organizzate. Senza la cui volontà e determinazione nessun obiettivo potrà mai essere conseguito.
Ho pensato a questo quando ha cominciato a prendere corpo l’idea del cosiddetto “Recovery Plan” europeo. Una novità di portata davvero storica, a cominciare dalla denominazione che è stata prescelta per rappresentarlo: “Next Generation Eu”. Una volta tanto, già nel titolo, una visione finalmente di lungo periodo che fa riferimento ai giovani europei del futuro. Un piano quindi concepito per aiutare una ripresa a lungo termine che non è, è bene ricordarlo sempre, la semplice somma di tanti brevi periodi.
Imponenti le risorse complessivamente ipotizzate. 750 miliardi, di cui 500 a fondo perduto e 250 a prestito. Molto rilevante la quota che, dalle prime anticipazioni, sembra potenzialmente destinata al nostro Paese (circa 80 miliardi a fondo perduto, 90 a prestito). Risorse da raccogliere sul mercato, garantite dal bilancio europeo. Una mutualizzazione del debito, sì. Ma questa volta si mutualizza il futuro e non il passato, attraverso misure strutturali e non congiunturali.
Viene prevista una gestione europea del debito, quindi finanziata anche da risorse proprie. Si devono pertanto immaginare delle imposte europee con finalità di politica economica (sarà finalmente la volta buona per la web tax?).
Le condizioni per l’erogazione dei fondi saranno connesse alla presentazione di dettagliati piani di ripresa nazionali personalizzati. Quindi riforme, investimenti, sanità e ricerca, misure di prevenzione di future crisi. Con una visione finalmente europea dello sviluppo. Da qui anche l’attenzione dedicata al nostro Paese, il cui ruolo di subfornitore di importanti settori dell’industria europea (quello dell’automotive, per esempio) non conviene a nessuno sia messo in crisi.
Se questa è giustamente la prospettiva, a nessuno dei nostri politici venga allora in mente di pensare che queste disponibilità possano essere utilizzate per abbassare le tasse nel nostro Paese (come si è già sentito dire …), oppure per gli indiscriminati finanziamenti a pioggia tanto di moda qui da noi (bonus qui, bonus là …). Al contrario, ci si prepari da subito per un Progetto Paese in chiave europea, serio e prospettico, che meriti di ricevere quelle risorse che, potenzialmente e provvisoriamente, sono state previste a nostro favore. Altrimenti lo faranno solo gli altri. Col risultato finale di ampliare quella differenza che sempre più ci separa, in negativo, dai nostri partners europei.
Ne saremo capaci? E’ questa la sfida. Di qui l’efficacia corrosiva della vignetta di Altan. Che ci ricorda che non solo la classe politica non si è sinora rivelata all’altezza, ma altrettanto non si è dimostrata migliore neppure la cosiddetta società civile che questa ha espresso. Perchè se non se ne è disfatta, vuol dire che si è comunque sentita ben rappresentata. E’ quindi da noi stessi che bisogna partire. Mettendoci tutti in gioco, non come giudici ma come corresponsabili. Perché è tempo di navigare. E non basta più galleggiare.
Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti
07/06/2020 Il Messaggero Veneto