Gli economisti sono soliti attingere all’alfabeto per definire, con una sola lettera, le diverse vie d’uscita da una profonda crisi che ha determinato la brusca e significativa riduzione della produzione e dello sviluppo di una nazione, di un continente o addirittura del mondo intero.
Una nube nera si staglia oggi all’orizzonte. L’incertezza. Secondo il sociologo Zygmunt Bauman, l’incertezza è l’habitat naturale della nostra vita, ma la speranza di sfuggirvi è proprio il motore di ogni attività umana e l’ingrediente fondamentale della felicità.
Il nuovo Dpcm varato dal governo ritorna ad imporre chiusure sempre più severe per le attività il cui normale svolgimento è ritenuto indice di diffusione pericolosa del contagio. Turismo, commercio, ristorazione, cinema, teatri, mostre, eventi subiscono quindi oggi un nuovo stop. Solo per un mese, si dice. Chissà se sarà così, oggi nessuno può dirlo con certezza. Per non pochi dei soggetti colpiti dalle misure, l’imposizione di una nuova chiusura, dopo quella della primavera scorsa, rischia di assumere, specie per i più piccoli, i connotati disastrosi della definitività.
La pur prevedibile (ma, evidentemente, a questo punto non adeguatamente prevista) risalita dei contagi da Covid-19 ha indotto il governo ad emanare l’ennesimo Dpcm che dispone, tra l’altro, la chiusura dei ristoranti e dei bar a partire dalle ore 18. Dopo mille anticipazioni e rumors, è uscito infatti il decreto che, a partire dal 26 ottobre e fino al 24 novembre, dispone la chiusura di tutti gli esercizi di somministrazione di pasti e bevande, impedendo di fatto la loro apertura al pubblico per la cena della sera.
La riforma fiscale in Italia è un cantiere sempre aperto. Una sorta di infinita “Salerno-Reggio Calabria”, i cui lavori sono costantemente in corso ma la loro conclusione resta sempre di là da venire. L’eccezionalità del momento che stiamo oggi vivendo, il miraggio di fondi europei che mai in passato avremmo pensato di poter ricevere incoraggia oggi la ripresa di un confronto sul tema. Forse con qualche prospettiva più ampia di poter arrivare, questa volta, fino in fondo. Forse, appunto.
Si ritorna a parlare di riforma del sistema fiscale italiano, anche perché è ormai alle porte la nuova legge di bilancio.
E’ il momento di tornare a parlare (seriamente) del tema dei giganti del web e del loro contributo fiscale (la cosiddetta “web tax”).
Esaurita la sbornia elettorale che ha concentrato sin qui tutte le attenzioni della politica e dei media, è bene ritornare a parlare di Recovery Fund e del nostro Piano Nazionale al riguardo, attualmente in preparazione. Con la consapevolezza, è bene ricordarlo sempre, che questo costituisce una vera e propria frontiera irrinunciabile per poter assicurare realmente un futuro a questo Paese ed alle sue giovani generazioni.
Il 18 agosto, in un’Italia in piena vacanza, Mario Draghi ha pronunciato a Rimini un discorso dai più definito come memorabile. Infatti, salvo sporadiche e marginali eccezioni, tutti i commenti del mondo politico (e non solo) si sono affrettati a sottolineare il grande spessore dell’intervento e l’approccio da vero statista dell’ex Presidente della Bce. Qualcuno, spingendosi ancora più in là, ha voluto addirittura commentare dicendo che si è trattato, di fatto, del primo discorso ufficiale del prossimo Presidente della Repubblica.
Uno dei principali esponenti della cultura giuridica italiana tra il 19° e 20° secolo, Vittorio Scialoja, punto di riferimento per intere generazioni di giuristi, ebbe a scrivere “Il diritto è l’arte di tracciare limiti ed un limite non esiste se non quando sia chiaro”.
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