Con il maxiemendamento faticosamente concordato con l’Europa, su cui verrà posta in parlamento la consueta questione di fiducia, si avvia a chiudersi il tormentato iter di questa manovra di bilancio 2019.
Non credo sia utile, in questo momento, ascriversi aprioristicamente al partito di chi dice che è stata l’Europa a piegarsi, ovvero di chi dice che è stato invece il nostro governo a dover fare retromarcia.
Credo invece che, una volta di più, debbano parlare prima di tutto i numeri. Quelli sì, nessuno li può (o, quantomeno, li dovrebbe) mettere in discussione.
Vediamoli allora.
Per portare il rapporto deficit/PIL 2019 dal 2,4% al 2% (o 2,04% se vogliamo continuare a scherzare …) è stato necessario prevedere una correzione della manovra di 12,2 miliardi (9 di minori spese, 1,2 di maggiori entrate). Quasi 1/3 della manovra originariamente ipotizzata. La correzione per gli anni a venire, rispetto alla versione precedente, sarà di rispettivamente 12,2 miliardi (2020) e 16 miliardi (2021).
Al tempo stesso sono state riviste, in termini più realistici, le stime di crescita del PIL dall’1,5% all’1% (2019), dall’1,6% all’1,1% (2020), dall’1,4% all’1% (2021).
Restando al 2019, il grosso della riduzione riguarda proprio le misure bandiera dei due alleati di governo: le risorse spendibili per il reddito di cittadinanza passano infatti da 9 a 7,1 miliardi, quelle per “quota 100” da 6,7 a 4 miliardi.
Per di più 2 miliardi dell’intera manovra non potranno in realtà neppure essere spesi, quantomeno fino a luglio prossimo, in quanto l’accordo con l’Europa prevede che siano accantonati e liberati solo all’esito della verifica dell’avvenuto rispetto di tutti gli obiettivi programmatici.
Pesantissimo l’aggravio per il biennio 2020/2021 in quanto la correzione concordata con l’Europa comporta addirittura l’inasprimento delle famigerate clausole di salvaguardia sull’IVA, rispettivamente per ulteriori 9,4 miliardi nel 2020 e 13,2 nel 2021 che vanno ad aggiungersi agli importi già stanziati in precedenza.
In pratica, chi si troverà a governare quegli anni, prima ancora di ragionare sui programmi, si troverà con la necessità a prescindere di tagliare ulteriori spese o aumentare tasse per ben 23 miliardi nel 2020 e addirittura per 29 miliardi nel 2021. E questo solo per evitare che, in difetto, aumentino inesorabilmente le aliquote IVA. Quindi con nullo, o pochissimo, margine di manovra per poter programmare misure espansive per sostenere la nostra economia. Ovviamente per conseguire il risultato concordato con l’Europa si è dovuto aumentare le tasse (abrogazione credito d’imposta IRAP, azzeramento credito d’imposta per beni strumentali nuovi, agevolazioni IRES per gli enti non commerciali …), ridurre gli investimenti (Ferrovie dello Stato, Fondi sviluppo, Fondi europei …), rispolverando anche improbabili gettiti scaturenti da una imprecisata “web tax” che da anni si discute di introdurre, senza che nessuno abbia mai avuto il coraggio di farlo davvero sfidando lo strapotere dei colossi del web.
Dopo mesi di discussioni accese, miliardi bruciati dallo spread non ancora ridisceso ai livelli di aprile, visti gli esiti che, numeri alla mano, ci troviamo davanti, c’è da chiedersi se ne sia valsa davvero la pena.
E se invece non ci meriteremmo tutti delle festività più serene e orizzonti meno bui di quelli che ci si profilano davanti.
Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti
24/12/2018 Il Messaggero Veneto