Per la prima volta, dall'inizio della crisi del 2008, possiamo dire di vivere finalmente una congiuntura che può considerarsi favorevole.
Qualcuno ha detto che la somma dell'effetto della svalutazione dell'euro rispetto al dollaro, il quantitative easing di Draghi, l'Expo, il Giubileo e l'abbassamento del prezzo del petrolio valgono già da soli, per il nostro Paese, un punto di Pil. Quasi a dire che se, viceversa, si cresce al disotto dell'1% è quasi una dichiarazione di impotenza. In ogni caso è chiaro che, in questa situazione, un deciso alleggerimento della pressione fiscale può effettivamente costituire un importante volano per rafforzare e consolidare la nostra crescita.
Della necessità di tagliare le tasse si parla praticamente da sempre. Mai, tuttavia, questa promessa si è tradotta in fatti realmente concreti che abbiano avuto effetti significativi sulla nostra vita quotidiana e sul nostro lavoro. Certamente, va dato atto a questo governo che i famosi 80 euro sono effettivamente una riduzione permanente del carico fiscale per i soggetti che ne sono beneficiari.Tuttavia, la misura riguarda una categoria specifica di destinatari (quei dipendenti che comunque un lavoro già ce l'hanno) e trascura completamente i disoccupati, i pensionati e, soprattutto, i lavoratori autonomi. Quelli che, non dimentichiamolo mai, il lavoro lo creano non solo per sè stessi ma anche per gli altri.
Invece è proprio da qui che può veramente ripartire la crescita. Da una ritrovata voglia di fare impresa e di competere per affermare le proprie capacità. È questo che bisogna oggi principalmente incoraggiare. Perciò la scelta di voler partire, nell'annunciato taglio delle tasse, dall'abolizione di quelle sulla prima casa, indistintamente per tutti, dal proprietario di un monolocale a quello di un castello, non può non suscitare perplessità. Con ciò non si vuole certo dimenticare che la tassazione sugli immobili è oggi sicuramente eccessiva. Con l'IMU, infatti, il prelievo è passato dai circa 9 miliardi del 2011 ai quasi 25 del 2012.
Ciò non di meno è ben altro l'eccesso italiano che bisogna a tutti i costi prioritariamente cancellare. È soprattutto il cosiddetto "total tax rate". L'indice che calcola periodicamente la Banca Mondiale per stabilire il carico fiscale che grava su chi fa impresa nei diversi Paesi del mondo. Un carico che per l'Italia è pari al 65,4% del reddito, mentre in Germania il prelievo si ferma al 48,9% ed in Gran Bretagna addirittura al 33%. Non possiamo realisticamente pensare di poter agganciare la ripresa e sperare addirittura di renderla duratura se non annulliamo al più presto questo incomprensibile divario. Non si può competere per vincere la maratona con uno zaino caricato sulle spalle.
È questa oggi la vera priorità. Altrimenti in quella casa, pur "detassata", saremo costretti a restarci tutto il giorno. Non avendo più un lavoro che ci consenta di lasciarcela quotidianamente alle spalle. Aggiungasi che, in un Paese caratterizzato da una elevata inosservanza delle leggi fiscali, potrebbe essere imprudente intervenire per ridurre proprio quelle imposte che sono oggettivamente più difficile evadere.
Due ulteriori aspetti vanno infine considerati. In primo luogo, non bisogna dimenticare che senza una corrispondente riduzione della spesa pubblica qualsiasi taglio delle imposte è in realtà semplicemente un loro differimento nel tempo, che viene posto a carico delle future generazioni e, per di più, aggravato dai maggiori interessi da pagare sul debito. In secondo luogo, va anche considerato che altri Paesi oggi sforano (la Francia) o hanno sforato in passato (proprio la Germania) il limite posto dalla UE di un deficit non superiore al 3% del Pil. Pertanto, non pare irragionevole negoziare con l'Europa anche un parziale ricorso al deficit proprio per finanziare una detassazione più incisiva per chi lavora e produce.
Non dimentichiamo, infatti, che la stessa riduzione delle tasse finisce poi per generare, a sua volta, nuova crescita.
Claudio Siciliotti
@csiciliotti
24/09/2015