Promesse elettorali tra sogni e realtà

Nonostante gli inviti del Capo dello Stato rivolti ai partiti in vista del prossimo appuntamento elettorale a formulare proposte “realistiche e concrete”, non pare proprio che il monito del Quirinale sia stato fatto proprio dai rispettivi destinatari.

Scorrendo le bozze dei programmi elettorali e le dichiarazioni dei vari leader si assiste infatti ad una vera e propria gara ad accaparrarsi il consenso elettorale sulla base di una proliferazione di promesse di sconti fiscali, redditi di cittadinanza (o di dignità), pensioni minime, abbassamento dell’età pensionabile, bonus estesi oltre le attuali misure.

Tutte proposte, per carità, sicuramente allettanti ma che non paiono proprio compatibili con l’attuale stato dei conti dello Stato ed il livello del nostro debito pubblico.

Non dimentichiamo mai che già prima di questa estate si dovrà aprire il confronto con Bruxelles per la richiesta di una manovra correttiva di circa 4 miliardi e che incombe sempre la necessità di reperire risorse per quelle clausole di salvaguardia che da anni non riusciamo a disinnescare e che, se non rifinanziate, provocherebbero a quel punto il previsto aumento dell’Iva.

Infatti, l’ultima legge di bilancio destina ben l’80% delle risorse proprio ad impedire lo scatto di queste clausole di salvaguardia. Poste a garanzia, peraltro, di spese già fatte. Il tutto in un contesto dove oltre la metà delle risorse complessive sono attinte in deficit, quindi destinate a far crescere ancora di più il nostro (già elevato) debito pubblico.

Viene da chiedersi che spazio ci sia allora per proposte come la flat tax (costo stimato 30-40 miliardi), per l’estensione del bonus degli 80 euro alle famiglie con più figli (5,7 miliardi), per il reddito di cittadinanza o di dignità (15-17 miliardi), per elevare le pensioni minime a 1.000 euro (18 miliardi). Per non parlare della abolizione della legge Fornero, con conseguente abbassamento degli attuali requisiti per accedere al pensionamento di anzianità o di vecchiaia, il cui costo viene stimato dal presidente dell’Inps Boeri nell’ordine di circa 140 miliardi nel 2020. Oppure dell’uscita dal Fiscal Compact (costo stimato 24 miliardi). Una proposta quest’ultima che evidentemente sottovaluta sia le reazioni dei mercati che la possibilità concreta di poter violare un patto comunque sottoscritto dal nostro Paese.

Tralascio altri temi (come la proposta di abolizione del bollo auto, del canone Rai, delle tasse universitarie ..) solo perché di effetti meno rilevanti rispetto a quelli sopra evidenziati.

Credo vada allora ribadito, una volta di più, che solo il taglio della spesa (e non certo il suo aumento) può consentire programmi credibili di riduzione delle imposte. E che prima si devono ridurre le uscite (appunto la spesa) e solo dopo, in proporzione, si può pensare di ridurre le entrate (che sono poi le tasse).

Altrimenti inevitabilmente si fa altro debito. Un debito che, irresponsabilmente, continuiamo a porre principalmente a carico dei nostri figli.

E non è certo frequentando una fabbrica di illusioni che si può pensare di poterci costruire sopra il futuro.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

10/01/2018 Il Messaggero Veneto