Il governo ritiene che ci voglia più tempo del previsto per riformare il nostro fisco. C'è infatti bisogno di altri sei mesi.
L'annuncio l'ha dato qualche giorno fa il viceministro all'Economia Luigi Casero.
Anche il premier Renzi è intervenuto al riguardo dicendo, ai microfoni di Sky, che "ci metteremo qualche settimana in più, qualche mese in più ma dal primo settembre parte il nuovo sistema fiscale". Del resto, ha aggiunto, "sono 70 anni che il sistema non funziona, si può aspettare tre settimane per non fare pasticci".
Difficile dargli torto. Salvo ricordare che la delega fiscale ha visto la luce sotto il governo Berlusconi, per poi passare da Monti a Letta e quindi arrivare in approvazione finalmente con Renzi che ha previsto un anno di tempo per portare a termine la riforma con l'approvazione di tutti i decreti attuativi. Il percorso avrebbe dovuto completarsi per marzo di quest'anno ed invece arriveremo in fondo (almeno così si spera) a settembre.
Dobbiamo a questo punto ricordare che aspettiamo una vera riforma del sistema fiscale da oltre quarant'anni. E quarant'anni fa, è quasi inutile precisarlo, vivevamo davvero in un altro mondo. L'economia era locale, non esisteva l'euro e neppure i flussi migratori o comunque questi non avevano certo la rilevanza dei giorni nostri. Non esisteva neppure internet e con essa l'enorme bacino di tutte le transazioni on line. La stessa globalizzazione era solo la visione di poche menti prospettiche.
Questo per dire che di una profonda riflessione delle ragioni del fisco in un Paese avanzato nel terzo millennio c'è sicuramente molto bisogno.
In questo senso deve essere vista la riforma. Non come il semplice aggiustamento delle norme esistenti, quanto piuttosto come la loro radicale rivisitazione alla luce dei nuovi scenari cui ci troviamo oggi davanti.
Per cercare di trasformare il fisco in un reale fattore di sviluppo e di rilancio dell'economia invece di quell'insostenibile zavorra che oggi, viceversa, troppo spesso rappresenta.
Proviamo allora a tracciare alcune direttrici attraverso le quali si potrebbe sviluppare un percorso realmente riformatore in ambito fiscale.
Innanzitutto il fisco deve essere di aiuto e non di peso all'economia. Perché ciò si realizzi, il prelievo fiscale complessivo deve andare a coprire esclusivamente investimenti pubblici e spesa utile. Ogni euro prelevato oltre a tale soglia, va infatti a finanziare quella spesa pubblica improduttiva e inefficiente che il rovina il Paese, non solo per quello che sottrae direttamente all'economia, ma anche per l'indiretto effetto di lassismo e di sfiducia che genera nel contribuente.
In secondo luogo, il fisco deve essere di aiuto e non di peso nella corretta distribuzione del prelievo complessivo. Se l'obiettivo principale è quello di favorire la produzione e il lavoro, bisognerebbe incidere il meno possibile su questi fattori.
Forse al riguardo bisognerebbe anche dirsi, senza più infingimenti e smettendola di continuare a strizzare l'occhio al proprio (presunto) elettorato di riferimento, che ciò che va consistentemente incentivato oggi è la possibilità di sviluppo di un'attività d'impresa e di lavoro autonomo in generale. Coloro che il lavoro lo creano per se stessi, ma anche per gli altri. Bisogna far si che in questo Paese ritornino a crescere le locomotive. Non solo i vagoni che, a lungo andare, senza più locomotive, finiscono invariabilmente, in un modo o nell'altro per agganciarsi al carro dello Stato. Cioè a noi tutti, tramite l'aumento della fiscalità generale.
In terzo luogo, grazie anche all'aumento della tecnologia, la sacrosanta lotta all'evasione deve realizzarsi sempre di più tramite la maggiore diffusione di mezzi di pagamento tracciabili. Ma, diversamente da oggi, non già penalizzando chi non si adegua ma, viceversa, premiando chi lo fa. È così difficile pensare a forme di compartecipazione all'Iva per chi utilizza volontariamente mezzi tracciabili (bonifici, assegni, carte di credito o bancomat) ovvero per chi richiede e conserva lo scontrino delle prestazioni che ha ricevuto? Altri Paesi lo fanno da tempo, perché noi no?
Riduzione della spesa pubblica quindi e tassazione più leggera su chi lavora e produce. Oltre a ciò, meccanismi di controllo più trasparenti e meno inutilmente oppressivi.
A cui si deve aggiungere infine un sistema sanzionatorio severo ed inderogabile per chi, a quel punto, riterrà di trasgredire.
Fisco leggero e sanzioni pesanti, in definitiva. Anziché fisco pesantissimo con sanzioni spesso eventuali (anche grazie ad un uso smisurato di condoni), come purtroppo da tempo immemorabile abbiamo sinora dovuto constatare.
04/03/2015 Claudio Siciliotti