Le prime nevi cominciano ormai ad imbiancare i nostri paesaggi alpini e questo ci ricorda che è tempo di ripiegare definitivamente gli ombrelloni di un'estate di tante (troppe) parole per focalizzare l'attenzione sui temi concreti dell'agenda politica del nostro paese e sulle principali scadenze di carattere economico che, di qui a poco, il nostro esecutivo e la maggioranza che lo sostiene dovranno inevitabilmente affrontare.
Sarà il momento in cui si dovrà passare dalle parole della campagna elettorale ai fatti concreti della legge di bilancio che sarà chiamata, entro la fine dell'anno, a mettere definitivamente nero su bianco le tante promesse fatte agli elettori.
La prima importante scadenza non è lontana, il prossimo 27 settembre, data in cui è infatti prevista l'uscita della Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (Nadef) che dovrà appunto aggiornare i dati dell'analogo documento di aprile che, come è noto, non conteneva alcun intervento di carattere programmatico (né del governo uscente, né di quello entrante).
In questa sede invece, da qui a meno di un mese quindi, dovranno essere evidenziati i principali dati, consuntivi e prospettici, riferiti agli indicatori economici di maggior rilievo (Pil, rapporti deficit/Pil e debito/Pil) sulla base della descrizione analitica e della quantificazione puntuale delle misure che il governo in carica intende adottare per poterli efficacemente conseguire.
Sarà, lo si ripete, il primo importante banco di prova per misurare l'effettivo rispetto delle promesse fatte agli italiani dalla coalizione vincente sui principali temi che hanno caratterizzato il programma elettorale che gli elettori hanno premiato con il voto: su tutti, quasi superfluo ricordarlo, l'introduzione della cosiddetta flat tax, del reddito di cittadinanza e l'abolizione della legge Fornero.
Misure, è bene ricordarlo, con numeri complessivamente da paura se applicate integralmente (circa 100 miliardi di maggior deficit tra minori entrate e maggiori uscite).
Tutto questo in un contesto in cui il nostro debito pubblico è ancora sopra il 130% del Pil e, prima ancora di cominciare, bisogna che la manovra sia comunque in grado di finanziare, a monte, almeno 20 miliardi di nuove uscite per evitare l'aumento dell'Iva e delle accise, per tenere conto della maggiore spesa per interessi dovuta all'aumento dello spread e per gli effetti sui conti pubblici delle stime di minor crescita rispetto a quella prevista (+ 1,3 nel 2018, + 1,1 nel 2019). Stime quest'ultime che, non dimentichiamolo, ci collocano all'ultimo posto nell'Unione Europea per tasso di crescita (addirittura dietro la Grecia ...).
Non dimenticando neppure che, in chiave futura, va considerata anche la fine annunciata, a partire dal 2019, del cosiddetto "quantitative easing" e cioè l'acquisto programmato di titoli finanziari da parte della Bce. Si dovrà quindi fare a mento di un grosso compratore dei nostri titoli del debito pubblico, stabile e soprattutto non influenzato dall'andamento dello spread e dalle bizzarrie dei mercati. Non difficile ipotizzare, al riguardo, un rialzo in prospettiva dei tassi d'interesse (e quindi delle uscite), oltre alla necessità di reperire compratori sostitutivi dei nostri titoli per circa 30 miliardi al mese.
Ce n'è dunque abbastanza per dire che è arrivato il tempo di discutere con più serietà e maggiore senso di responsabilità di questi temi perché, diciamolo con franchezza e con tutto il dovuto rispetto, non sono certo i 170 migranti bloccati sulla nave Diciotti della Guardia Costiera al molo di Catania il principale problema del nostro paese nè quello che rischia di compromettere il futuro dei nostri figli.
Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti
01/09/2018 Il Messaggero Veneto