Da mercoledì 5 febbraio il decreto sui debiti della pubblica amministrazione, varato dal governo monti ad aprile dello scorso anno, diventa finalmente operativo. Sarà quindi possibile iniziare a compensare i crediti vantati nei confronti della Pubblica Amministrazione per chiudere, almeno in parte, i propri conti con il fisco. C'è voluto quasi un anno per dare una prima attuazione concreta, ancorchè parziale, a quello che non solo le imprese italiane chiedono a gran voce da tempo ormai immemorabile, ma che tutti i partiti presenti in parlamento ripetono sempre di essere completamente d'accordo nel voler fare con assoluta urgenza. Vien da chiedersi quanto si sarebbe dovuto attendere se, per caso, non fossero neppure stati tutti d'accordo ...
Il tema è noto: le imprese che lavorano con la Pubblica Amministrazione non solo sono costrette a pagare a questa le imposte, ma neppure dalla stessa ne ricevono i ricavi sui quali quelle imposte sono calcolate e comunque corrisposte. Un fenomeno che determina un maggior costo complessivo per il nostro sistema delle imprese stimato in circa tre miliardi l'anno. Tre miliardi di interessi derivanti dalla necessità di ricorrere al finanziamento per sopperire alle esigenze di liquidità.
La situazione al riguardo non presenta solo le caratteristiche dell'assoluta emergenza economica e sociale, ma ha addirittura determinato l'apertura di una specifica procedura d'infrazione contro l'Italia per la palese violazione della direttiva Ue sui ritardi nei pagamenti. Secondo l'Ance, infatti, i ritardi accumulati dagli enti pubblici superano ormai in Italia i 200 giorni, con punte addirittura di 1000 (!). Siamo stabilmente i peggiori pagatori d'Europa. Tutto ciò mentre la direttiva Ue del 2011 prevede, al riguardo, un termine massimo di 60 giorni di calendario, vincolante per i contratti con le pubbliche amministrazioni di tutti gli Stati membri. Una direttiva che lo Stato italiano avrebbe dovuto recepire ed applicare concretamente entro marzo dello scorso anno. E invece ora, per questo, l'Italia rischia addirittura una sanzione tra i tre e i quattro miliardi come ha recentemente ricordato Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Ue. In pratica, ...un anno di Imu.
In questo contesto drammatico, in cui l'Italia ha cinque settimane di tempo per rispondere alle contestazioni dell'Europa per evitare la messa in mora, il decreto sulle compensazioni approvato il 5 febbraio risulta abbondantemente al disotto delle reali necessità delle imprese italiane. In concreto, nessuno pensi che, se esiste un credito nei confronti della Pubblica Amministrazione ed un debito nei confronti del fisco di pari importo, la partita possa dirsi finalmente chiusa. Assolutamente no. I debiti fiscali compensabili non sono infatti tutti. Ma solo quelli dovuti per l'accertamento con adesione, l'acquiescenza o la conciliazione giudiziale. In pratica, per i soli importi per cui è stato già emesso dall'amministrazione finanziaria un avviso di accertamento. Cioè tutti quelli che derivano dagli strumenti appositamente creati per tentare di alleggerire il contenzioso tributario.
Qual'è la logica di una scelta del genere? Così si finisce solo per penalizzare chi le tasse le paga regolarmente. E si forza il contribuente a sottostare alle richieste del fisco anche quando, altrimenti, farebbe la scelta di opporsi. Vien da pensare che a beneficiare di questo decreto sarà piuttosto l'Erario che non le imprese, considerato che proprio il primo ha tutto l'interesse ad evitare un contenzioso nel quale, è bene ricordarlo, nei giudizi avanti le commissioni tributarie, ha torto in circa un terzo dei casi e vede ridotte le proprie pretese in un ulteriore terzo dei casi.
È veramente difficile pensate di poter stare nell'Europa dei doveri quando si è sempre più lontani dall'Europa dei diritti.
08/02/2014 Messaggero Veneto