È cominciato l'autunno delle tasse sulla casa. Da ottobre a dicembre, infatti, si concentrano gli appuntamenti con il fisco che riguardano in pratica ogni occupante di un'abitazione. Sono infatti chiamati ad adempiere circa 15 milioni di italiani, tra proprietari ed affittuari.
Nonostante il reiterato abuso della lettera "u" nei vari acronimi (IUC, imposta unica comunale; IMU, imposta municipale unica), il fisco sugli immobili non prevede affatto una sola tassa bensì tre: la TASI, a carico del proprietario se la casa non è locata, altrimenti va suddivisa tra proprietario e inquilino; la TARI sui rifiuti, dovuta da chi occupa l'immobile e infine l'IMU, sulle abitazioni principali considerate di lusso e sulle seconde case (o, più esattamente, su tutti gli immobili diversi dalle abitazioni principali). Tre differenti tributi quindi (altro che unico...), ognuno con regole di applicazione proprie e modalità di calcolo specifiche, pur essendo il Comune di appartenenza l'unico ente a cui confluiscono i relativi versamenti. In tutto, complessivamente, oltre 26 miliardi di gettito. Quasi due punti di PIL.
Nonostante l'entità del prelievo non si può però dire che la tassazione sugli immobili sia una prerogativa del nostro Paese. Anzi. Era stata proprio l'abolizione dell'ICI ad aver reso l'Italia un caso praticamente unico nel panorama dei Paesi maggiormente sviluppati. Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Stati Uniti: ovunque esiste una tassazione sugli immobili. E quasi sempre con un incidenza in media più alta di quella che si registra nel nostro Paese.
E allora di che cosa ci lamentiamo? Dovremmo invece essere contenti? In realtà non è così. Siamo giustamente insoddisfatti per almeno tre rilevanti motivi che ci rendono molto diversi dagli altri Paesi con i quali ci confrontiamo.
In primo luogo, per la confusione che da sempre regna nel settore che preclude la possibilità di acquisire delle certezze durature ed impedisce anche ai più volonterosi di adempiere con facilità. In secondo luogo, per la disarmonia del prelievo che non è affatto collegato al reale valore delle abitazioni tassate. Infine, per il fatto che la tassazione della proprietà immobiliare da noi si accompagna e non si compensa con un prelievo che resta decisamente troppo elevato sui redditi da lavoro e d'impresa.
Dal primo punto di vista, bisogna ricordare come la perdurante incertezza degli oneri fiscali sulla casa contribuisca, specie in un periodo di crisi, a determinare la stagnazione delle compravendite immobiliari. L'investimento immobiliare è infatti sempre assai oneroso per chi lo affronta e deve pertanto essere pianificato per tempo ed in modo consapevole. Per questo bisognerebbe mantenere un sistema stabile e prevedibile di tassazione. L'esatto contrario di quanto avvenuto nel settore in questi ultimi anni. Oltre a ciò, bisognerebbe poter adempiere con facilità. Un'aliquota ed una base imponibile assolutamente certe. Ma da noi non è così. Il calcolo della TASI è tutt'altro che semplice. La rendita catastale va moltiplicata per il 5%. Questa rivalutazione va nuovamente moltiplicata per 160 e questa base imponibile andrà a sua volta moltiplicata per un'aliquota estratta tra la babele di quelle decise, in tempi peraltro anche diversi, da ogni singolo Comune. Infine vanno sottratte le detrazioni. Vien da chiedersi: ma chi se l'è inventato un meccanismo del genere? Oltretutto i conteggi vanno fatti dai contribuenti (altro che bollettino precompilato ...) sui quali ricadono tutte le conseguenze sanzionatorie di eventuali errori che invece, in un Paese civile, andrebbero addebitati a chi non ha saputo o voluto, nonostante le reiterate promesse, contribuire a semplificarli.
Inoltre, dal secondo punto di vista, la rendita catastale non coincide affatto con il valore di mercato delle abitazioni tassate. Ci sono infatti rilevanti disomogeneità tra Regione e Regione. Ci sono infatti immobili simili con valori catastali molto diversi o valori catastali identici per immobili diversi tra loro. È allora evidente che più distante è per difetto la rendita rispetto al valore di mercato e minore risulterà la tassazione di un immobile di pari valore. Da questo punto di vista, per esempio, secondo le stime del Sole 24 Ore, a parità appunto di valori di mercato, finisce per pagare più tasse un proprietario di casa di Trieste rispetto a uno di Cagliari.
Infine, dall'ultimo punto di vista, non va dimenticato che mentre in Italia la pressione tributaria complessiva ha ampiamente superato la metà del prodotto interno lordo, negli Usa, che pure hanno sulla casa una "property tax" sicuramente più elevata delle nostre, il livello globale della tassazione supera di poco il 30%.
Non resta allora che sperare che la nuova "local tax" promessa per il 2015 dal premier Renzi - cui evidentemente devono piacere gli anglicismi (jobs act ...) - racchiuda finalmente, in un unico contesto, quanto dovuto da ognuno a fronte di tutti i costi ed i servizi legati alla casa. Razionalizzando anche i meccanismi di calcolo e così semplificando, una buona volta, la vita ai cittadini. Del resto, si sa, complicare è facile mentre semplificare è invece sempre difficile. Ma anche questa è una sfida che dobbiamo finalmente vincere.
05/11/2014 Messaggero Veneto