Mal di presente

Il male di questo Paese si chiama “presentismo”. Di solo presente, infatti, si parla e ci si occupa oggigiorno. Il passato si interpreta disinvoltamente secondo le proprie personali convenienze. Il futuro, invece, aldilà delle parole, non interessa realisticamente a nessuno.

Così le cronache si riempiono dei “muscoli” che mostrerebbe in questo momento l’Italia a Bruxelles nel dibattito sul Recovery Fund contro l’opposizione dei Paesi cosiddetti “frugali”, dimenticando che è assai più importante avere ben chiaro che quelle disponibilità sono comunque “teoriche” e risulteranno effettivamente alla nostra portata solo sulla basa della credibilità dei progetti concreti che saremo in grado di mettere in campo. Aspetto assai più rilevante dell’entità, a quel punto solo nominale, ed anche della forma di tali potenziali disponibilità. Ma a questo qualcuno ci sta lavorando? Allo stesso modo il dibattito sul MES si concentra sulle presunte condizionalità che limiterebbero la nostra sovranità. In tal modo nessuno si occupa realisticamente di predisporre un progetto serio di riordino e di modernizzazione del nostro sistema sanitario, unica reale condizione per poter beneficiare di quei fondi che, in difetto, diciamocelo chiaro, non arriveranno mai. Aldilà della potenziale lesione della nostra sovranità.
Si fanno Stati Generali, si convocano commissioni di esperti (Colao) ma poi i rispettivi esiti restano confinati al clamore vuoto di qualche pomposa conferenza stampa. E poi presto dimenticati. La realtà però ci dice che:

  • le ultime previsioni della Commissione Europea di luglio mettono l’Italia addirittura all’ultimo (!) posto dell’intera Europa a 27 in termini di crescita (Pil 2020: -11,2%), avendo ormai superato in questa poco edificante classifica persino la derelitta Grecia;
  • tra “Cura Italia” e “Rilancio” abbiamo messo in campo circa 80 miliardi potenziali (peraltro distribuiti con bonus a pioggia a tutti e non solo ai settori effettivamente incisi dalla crisi) e quindi avremo meno disponibilità da spendere per la prossima finanziaria;
  • il Patto di Stabilità è stato solo sospeso e non revocato e ci troveremo a fine anno con un debito che viaggia intorno al 170% e quindi sempre più difficile da finanziare;
  • ci si adopera in una “moral suasion” nei confronti delle banche perché sostengano le nostre imprese ma non si fa nulla perchè la Pubblica Amministrazione paghi fino in fondo i suoi debiti a quelle stesse imprese che si chiede agli altri di aiutare;
  • in una situazione come questa non si è neppure capaci di differire a fine settembre quelle scadenze fiscali di luglio, come avvenuto peraltro solo l’anno scorso, in assenza di una situazione di emergenza, quando era nell’interesse precipuo dell’amministrazione finanziaria (per l’applicazione dei nuovi indici di affidabilità fiscale).

In questo momento, per fortuna, i contagi in Italia appaiono in calo (anche se le statistiche non sono proprio del tutto concordi al riguardo) ma resta comunque l’incognita dell’autunno e dell’avvento della stagione fredda. Le rilevazioni però a livello mondiale (USA, in primo luogo) sono tutt’altro che rassicuranti. Quindi troppo presto per cantar vittoria. E per non temere una ripresa del contagio. Ragioni sufficienti ad indurci di pensare di meno alle elezioni ed al referendum di settembre (quest’ultimo, francamente, una priorità al momento davvero risibile) e assai di più ad un Progetto Paese, strutturato e condiviso, che, usando al meglio le disponibilità che ci vengono dall’Europa (di soldi e di assenza temporanea di vincoli), ci consenta di uscire dalla crisi migliori di come ci siamo entrati.
“Dobbiamo usare il tempo come uno strumento, non come un divano”, diceva efficacemente John Kennedy. Teniamo maggiormente presente il monito di uno cui la visione prospettica di certo non faceva difetto.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

22/07/2020 Il Messaggero Veneto