Lo scorso mese di ottobre, davanti alla platea festante degli industriali di Bergamo, il premier Renzi aveva annunciato che la legge di stabilità avrebbe previsto, tra l'altro, lo sgravio del costo del lavoro dall'imponibile Irap, generando in tal modo un effetto di minor carico fiscale, per imprese e professionisti, quantificato nell'ordine di circa 6,5 miliardi di euro. Aveva infatti affermato con chiarezza che "dal 2015 l'intenzione del governo è di abolirla in toto, anche perché è il tributo che più di altri restituisce l'idea di un Paese per cui il lavoro è un costo e non una risorsa".
L'affermazione, tanto importante quanto impegnativa, aveva subito conquistato l'immediato consenso di tutto il mondo produttivo. Il costo del lavoro è infatti una componente sicuramente molto rilevante di un tributo regionale che complessivamente - ricordiamolo - vale per il nostro Erario oltre 22 miliardi di euro, a cui se ne devono aggiungere almeno altri 10 pagati dalla pubblica amministrazione. Non può quindi dubitarsi che un intervento sull'Irap della dimensione indicata avrebbe potuto effettivamente rappresentare quella forte scossa per l'auspicata ripresa della nostra economia. Un intervento, peraltro, invocato da tempo immemore dall'intero sistema produttivo italiano. Più volte promesso, ma mai attuato, dai governi in passato. Già nel 2009, infatti, l'allora premier Berlusconi aveva annunciato addirittura l'azzeramento dell'Irap ed una norma in tal senso, di natura programmatica, era stata introdotta anche nella delega fiscale presentata nel 2011. Salvo poi restare, appunto, lettera morta.
Nonostante tutto ciò, la legge di stabilità presentata poi dal governo ha confermato solo in parte, per quanto riguarda l'Irap, le anticipazioni fatte dal premier. Lo sgravio fiscale Irap è stato riqualificato in 5 miliardi e, oltretutto, non si va ad aggiungere alla riduzione, introdotta a maggio, del 10% delle aliquote che sarebbe dovuta scattare dal 1 gennaio 2015. Un minor gettito peraltro, coperto all'epoca con un aumento delle rendite finanziarie dal 20% al 26% scattato da luglio. Si torna dunque indietro: le aliquote non si riducono ma restano quelle che sono. In particolare, l'aliquota ordinaria che era stata ridotta col cosiddetto "decreto degli 80 euro" al 3,50% tornerà al 3,90%. In questo modo, come qualcuno ha già osservato, una parte dello sgravio Irap viene di fatto finanziato da altre tasse e cioè dall'incremento delle relative aliquote (o, se si vuole, dall'abrogazione della loro riduzione) per cui il saldo netto di minor carico fiscale finisce per ridursi, secondo le stime che sono circolate, da 5 a 2,9 miliardi. Per le grandi imprese che hanno tanti dipendenti a tempo indeterminato, lo sconto sarà quindi sicuramente consistente. Non altrettanto per le piccole - vera e propria ossatura dell'economia italiana - che hanno pochi dipendenti e molti oneri finanziari indeducibili (ma chi non ha contratto prestiti in questo periodo?) che pagheranno un'Irap più salata senza poter usufruire della maxi deduzione. In ogni caso la neutralizzazione della componente lavoro scatterà soltanto dal 2015 per cui il beneficio si vedrà solo al momento dei versamenti d'imposta da effettuare nel 2016. Per l'anno appena iniziato, invece, nessun nuovo vantaggio: l'Irap si calcolerà con l'aliquota del 3,9%, fatti solo salvi i minori versamenti in acconto effettuati in base all'aliquota del 3,5%. Unica mitigazione all'ennesima violazione del principio della "irretroattività", inutilmente sancito dallo Statuto dei diritti del Contribuente, ancora una volta disatteso. Per cui si può concludere che, paradossalmente, per effetto della legge di stabilità, si pagherà nel 2015 più Irap di quella che si sarebbe pagata in sua assenza. Nè vale a modificare il giudizio l'emendamento recentemente introdotto al Senato che prevede un credito d'imposta del 10% per le imprese senza dipendenti.
In ogni caso, la manovra rende interamente deducibile non già il costo complessivo della componente lavoro, bensì la quota relativa al solo "personale dipendente con contratto a tempo indeterminato". Esclusi quindi tutti i dipendenti con contratti a termine. Intendiamoci, 2,9 miliardi di tasse in meno per imprese e professionisti, sia pure dal 2016, sono comunque una gran bella notizia ed uno sforzo che - va dato atto - nessun governo, in passato, era mai stato in grado di realizzare. Così come è importante aver finalmente cancellato, sicuramente in larga parte, la componente lavoro dalla base imponibile. Tuttavia resta l'immagine di un balletto di cifre che sarebbe stato opportuno chiarire sin dall'inizio con maggiore trasparenza, l'ennesima violazione dello Statuto del Contribuente oltre alla conferma di un tributo sbagliato, come l'Irap, che tutti promettono da sempre di voler cancellare ma che invece riesce a sopravvivere, ancora una volta, a tutti i reiterati tentativi in questa direzione.
Da questo punto di vista, diciamolo con franchezza, ci si poteva aspettare allora maggiore coraggio. Quello di prevedere anche l'avvio di un processo di graduale e progressiva eliminazione totale dell'Irap. Quella che oggi è - e comunque, nonostante tutto, in buona parte resta - una vera e propria "patrimoniale" che, specie in tempi di crisi, continuerà quindi a gravare sulle nostre imprese (specie le piccole) e sull'intero mondo produttivo italiano.
07/01/2015 Il Messaggero Veneto