L'IMU sulla prima casa e l'equità dimenticata

Il Governo ha quindi definitivamente cancellato, per decreto, la prima rata dell'Imu 2013 sulle abitazioni principali ed ha annunciato di avere le coperture per eliminare anche il saldo di dicembre. Questo avverrà, sempre secondo gli annunci, con il decreto di accompagnamento alla Legge di stabilità il prossimo 15 ottobre.
Al tempo stesso ci viene detto che, dal 2014, l'Imu sparirà completamente per far posto alla nuova Service Tax (via la tassa, arriva la tax... chissà perché in inglese?) senza che la sostituzione si trasformi, ci viene assicurato, in un aggravio complessivo di oneri per il cittadino contribuente. Tuttavia, siccome i confini esatti della nuova tassa (pardon, tax) non sono ancora stati definiti, una tale affermazione deve essere ancora verificata.
Questa Service Tax, a sua volta, dovrebbe risultare suddivisa in due parti: la prima, per coprire il costo della raccolta dei rifiuti (TARI); la seconda, per pagare i servizi indivisibili degli occupanti degli immobili (TASI).
In questo estenuante valzer di continui acronimi, noi gente del Nord Est, non possiamo non notare che quest'ultimo (TASI) sembra proprio fatto apposta per chiudere in maniera eloquente ogni discorso con chi è chiamato ad adempiere. Sostanzialmente, "zitto e paga" ...
Così una parte del Governo può finalmente esultare ("promessa mantenuta!") mentre  l'altra allarga le braccia ("il prezzo da pagare per l'accordo di governo"). Ancora una volta, quindi, finisce per prevalere la difesa esclusiva degli interessi propri e del proprio elettorato di riferimento, rispetto ad una visione più generale e realistica del problema che si vuole affrontare.
Noi cittadini, in mezzo, a pensare che una volta di più si sia persa un'occasione per affrontare seriamente, in maniera organica e prospettica, il tema della fiscalità immobiliare.
Un tema che, data la sua rilevanza, meritava senz'altro meno ideologia e più pragmatismo. E, alla fin fine, anche maggiore equità.
Non dimentichiamo infatti che l'investimento in case richiede del tempo ed è finanziariamente (e, spesso, anche psicologicamente) assai oneroso per chi lo affronta. Pertanto deve essere pianificato per tempo, in modo consapevole, in un quadro di certezza degli oneri fiscali cui si va incontro. Soprattutto nella fase di forte difficoltà in cui tutti viviamo in questo momento. Per questo bisognerebbe mantenere un sistema stabile e prevedibile di tassazione. L'esatto contrario di questo clima di continui annunci e smentite, di promesse che non si sa mai se e quando saranno mantenute. L'esatto contrario, in una parola, di questo clima di perdurante e insopportabile incertezza.
All'atto del suo insediamento il premier Letta aveva detto che la politica deve imparare a parlare "il linguaggio sovversivo della verità". Questa condivisibile affermazione postula che, nell'affrontare il tema dell'abolizione dell'Imu sulla prima casa, si dovesse dire ai cittadini con chiarezza e trasparenza due cose: 1) quali tasse si aggiungono e/o quali spese si tagliano per finanziare la perdita di gettito che deriva dalla sua abolizione; 2) perché la scelta che si fa comporta  una situazione da ritenersi migliore e più equa di quella che ci si lascia alle spalle.
Questo non è certamente stato fatto e solo oggi, a decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, scopriamo che potranno aumentare (di quanto?) gli acconti IRES e IRAP, le accise e, qua e là, spunta anche che, con effetto dal 2013, è stato pure abbassato il tetto di detraibilità delle polizze vita. Con tanti saluti, in quest'ultimo caso, alle disposizioni dello Statuto del contribuente che prescrive l'irretroattività delle leggi tributarie. Uno Statuto che, a questo punto, tanto varrebbe abrogare per quante volte negli anni è stato disinvoltamente disatteso.
Credo che si sarebbe dovuto, pur nell'emergenza, affrontare il tema in maniera diversa. In una visione di revisione di una parte del sistema impositivo riferito alla fiscalità immobiliare, ma inserito comunque in una logica generale.
Per prima cosa bisognava considerare che l'imposta sugli immobili si adatta perfettamente a finanziare le amministrazioni locali. Gli immobili, per definizione, lì sono e lì restano. E questo garantisce una base stabile di finanziamento per i Comuni. Abolire le imposte sugli immobili pertanto (a meno di non reintrodurle surrettiziamente con altro nome) significa creare un vuoto nelle casse dei Comuni e minarne la necessaria programmazione e autonomia.
Inoltre, se la prima casa è davvero un bene che non si può mai tassare, perché non consentire allora agli affittuari di prima casa di dedurre nella dichiarazione dei redditi i canoni d'affitto pagati? Sono forse questi, in larga parte proprio i più giovani, figli di un Dio minore?
In secondo luogo, se è vero che le imposte sugli immobili esistono praticamente in tutto il mondo, non è altrettanto vero che altrove esista un'imposizione altrettanto alta sul trasferimento degli immobili. Si ricorda spesso che dall'inizio della crisi il numero delle compravendite si è dimezzato. Non sarebbe stato assai meglio ridurre le tasse sui trasferimenti per rinvigorire il mercato immobiliare piuttosto che abolire, solo per alcuni, la tassa sulla proprietà? Oltretutto il gettito delle imposte sui trasferimenti  è erariale, per cui si lascerebbe ai Comuni la loro disponibilità ed autonomia senza attivare inutili e complessi trasferimenti compensativi. Probabilmente, in questo caso, il minor gettito sarebbe risultato in parte compensato dal prevedibile aumento dei volumi delle compravendite e si sarebbe andati incontro alle esigenze delle principali vittime della crisi, i giovani, che avrebbero avuto maggiori prospettive di potersi acquistare una casa rispetto ad un'abolizione dell'Imu di cui non traggono alcun beneficio.
Una terza considerazione. La casa è un bene che viene comunemente definito come illiquido e indivisibile. In altre parole, non è facile o comunque immediato poterlo vendere e non è in genere possibile venderne una sola parte. Ciò comporta che le imposte vanno in questo caso pagate attingendo direttamente al reddito familiare. Pertanto l'imposta sulla casa dovrebbe tenere conto anche del reddito del proprietario. Inoltre, molti proprietari sono, al tempo stesso, intestatari di un mutuo bancario. Anche qui il debito va restituito attingendo direttamente al reddito del proprietario. Per le famiglie che sono all'inizio del mutuo ci sarebbe da chiedersi se la casa che abitano e di cui sono formalmente proprietari sia effettivamente loro ovvero della banca che ne ha finanziato significativamente l'acquisto. Tutto questo non è irrilevante e avrebbe potuto riflettersi in una logica rimodulazione delle aliquote piuttosto che in una semplicistica abolizione tout court dell'imposta.
Si è preferito invece fare una scelta che, in definitiva, non è ancora chiaro se porterà effettivamente ad una riduzione complessiva del carico fiscale ma è certo che, lungi dal ridurre l'incertezza, non introdurrà affatto quelle caratteristiche di maggiore equità nell'imposizione fiscale che i cittadini italiani, soprattutto in un'epoca di grandi sacrifici, si sarebbero ampiamente meritati.

04/09/2013 Messaggero Veneto