Il pericolo delle due Italie

Il nuovo Dpcm varato dal governo ritorna ad imporre chiusure sempre più severe per le attività il cui normale svolgimento è ritenuto indice di diffusione pericolosa del contagio. Turismo, commercio, ristorazione, cinema, teatri, mostre, eventi subiscono quindi oggi un nuovo stop. Solo per un mese, si dice. Chissà se sarà così, oggi nessuno può dirlo con certezza. Per non pochi dei soggetti colpiti dalle misure, l’imposizione di una nuova chiusura, dopo quella della primavera scorsa, rischia di assumere, specie per i più piccoli, i connotati disastrosi della definitività. Chiaramente sono (o meglio, saranno) previste misure di sostegno a favore di queste realtà particolarmente incise. Ci mancherebbe. Ma questo, come già accaduto in passato, non avviene mai contestualmente. Passa per non sempre agevoli percorsi procedurali, per cui si finisce per determinare nei soggetti destinatari ulteriore incertezza, disagio e frustrazione. E poi, in ogni caso, i ristori difficilmente incidono sull’intera filiera produttiva e quindi riparano non solo parzialmente, ma neppure per tutti, il danno effettivamente subito.

In questo contesto, emergono sempre di più quelle due Italie che la pandemia sta rendendo ancor più distanti e potenzialmente conflittuali. Quella dei “garantiti” e quella dei “non garantiti”. Quella dei pensionati, dei dipendenti pubblici ed, in parte, dei dipendenti privati, da un lato; quella degli autonomi, delle partite iva, dei precari e dei dipendenti delle aziende a rischio, dall’altro. Gli uni il cui reddito, nonostante tutto, resta comunque del tutto impermeabile rispetto ai rischi provocati dalla pandemia; gli altri, che vedono invece compromesso, talvolta irrimediabilmente, quel tenore di vita che il loro reddito aveva tradizionalmente garantito a sé stessi ed alla propria famiglia. Ciò si traduce, inevitabilmente, in una conseguente differente reazione anche di fronte ai provvedimenti governativi: i primi, si dimostrano infatti favorevoli a misure sempre più restrittive (lockdown come a primavera), anche se durature; i secondi, appaiono invece sempre più insofferenti a chiusure selettive, ritenute discriminatorie e quindi diventano maggiormente inclini alla protesta, anche plateale. In pratica, come ha osservato l’economista Enrico Cisnetto, “chi era garantito prima del Covid, ora lo è anche di più; chi lo era poco, adesso non lo è per niente”.

Ora non si tratta certamente di alimentare questa frattura, schierandosi a invocare sindacalmente le ragioni della parte “non garantita” in contrasto con quella “garantita”. Si tratta invece di segnalare il pericolo sociale di questa frattura che, causa pandemia, si sta oggi ampliando nel nostro Paese. Non sottovaluti questo pericolo la politica, e non solo il governo, quando, troppo spesso, si limita a prendere unicamente le parti del proprio presunto elettorato di riferimento. La crisi sanitaria ed economica la supererà solo un Paese unito e solidale. Un Paese che tenga conto delle inevitabili differenze che caratterizzano la società e che sappia riconoscere in quali direzioni, prioritariamente, ma pur sempre nell’interesse di tutti, è necessario intervenire.

Da questo punto di vista non bisogna continuare a varare interventi economici ripetuti e continui, spesso dettati solo dall’emotività della situazione contingente. E, soprattutto, privi di quella necessaria selettività che la situazione viceversa richiederebbe (il bonus biciclette di questi giorni, tanto per dirne una, a favore di tutti senza distinzioni, sta lì a dimostrarlo). Abbiamo invece bisogno di una programmazione efficace di lungo periodo per impostare gli anni a venire. In grado di garantire la ripresa, gli investimenti e lo sviluppo. Una programmazione credibile che ci permetta di accedere a quei fondi europei che, diversamente, rischiano di restare un miraggio. Per tutto questo è però indispensabile anche un appoggio popolare diffuso. Evitando quindi l’inasprirsi di pericolose fratture sociali. Prima che sia troppo tardi.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

07/11/2020 Il Messaggero Veneto