Non sono mai stato un fautore del cosiddetto “bonus 80 euro” introdotto dal governo Renzi nel 2014 e, successivamente, reso strutturale a partire dal successivo 2015.
Una misura che costa tanto (circa 10 miliardi) e che va a premiare solo chi un lavoro ce l’ha già, di natura dipendente e trascura chi, viceversa, è disoccupato, pensionato e, quel che più è grave, chi ha un’attività lavorativa di natura autonoma. Dimenticando in tal modo che se si continuano a penalizzare gli autonomi, quelli che il lavoro lo creano per sé stessi ma anche per gli altri, ben difficilmente questi saranno in grado di poter assumere nuovi dipendenti.
Una norma che, per di più, esclude i cosiddetti incapienti, ovvero le persone che non guadagnano abbastanza per poter beneficiare di uno sgravio fiscale e che comporta talvolta anche la necessità, come è capitato a tanti, di dover restituire in tutto o in parte quel che si è percepito se, in dichiarazione dei redditi, si scopre di averne usufruito senza in realtà averne diritto.
Una norma che tutte le opposizioni di allora hanno pesantemente criticato, bollandola come “mancetta elettorale” o addirittura come una “truffa”.
C’è da chiedersi allora perché un tema di tale rilievo sia stato completamente trascurato nell’acceso dibattito che ha contraddistinto la manovra di bilancio che si è appena conclusa.
Perché l’allora opposizione, oggi diventata maggioranza di governo, non ha ritenuto di dirottare le ingenti risorse (appunto circa 10 miliardi) di una disposizione che ha sempre osteggiato (il bonus degli 80 euro) a favore di quelle misure bandiera che hanno infiammato la campagna elettorale e la cui realizzazione ha promesso con successo ai suoi elettori (reddito di cittadinanza, flat tax, quota 100)? Perché nessuno ci ha pensato anche quando l’Europa ci ha imposto una pesante revisione dei saldi di bilancio e l’accollo di nuove pesanti clausole di garanzia per il futuro?
Purtroppo c’è una sola risposta plausibile. Perché, pur avendo affermato di non condividere affatto quel provvedimento, abolirlo avrebbe significato perdere il consenso di quegli elettori (tanti) che, in ogni caso, di quella “mancetta elettorale” avevano comunque beneficiato e che non avrebbero affatto gradito di vedersela portare via.
Le conclusioni, a questo punto, sono desolanti. Se nemmeno chi manifesta apertamente il proprio dissenso dall’opposizione ha poi il coraggio, una volta raggiunto il governo, di rimuovere quei provvedimenti che ha ritenuto sbagliati per sostituirli con quelli che, invece, considera appropriati ciò significa che saremo destinati ad avere sempre un ordinamento fiscale irrazionale e disomogeneo che, consapevolmente, continua a distribuire risorse che non solo non ci sono (perché finanziate a debito) ma che anche vengono indirizzate a fini neppure ritenuti condivisibili da chi ci governa.
Con tanti saluti ai giovani di questo paese, il nostro futuro su cui dovremmo invece principalmente investire.
Giovani sempre più negletti e trascurati dalla politica di ogni colore, che assistono alla stratificazione di norme agevolative che mai li riguardano senza avere neppure la soddisfazione di trovare qualcuno che si assuma la responsabilità di giustificare loro il perché.
Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti
16/01/2019 Il Messaggero Veneto