Una vera riforma fiscale al centro del dibattito elettorale

Nel momento in cui pressochè tutti, a gran voce, chiedono il ritorno alle urne, dovremmo domandarci non già per chi, ma piuttosto per che cosa dovremmo andare a votare. Uno dei punti qualificanti del dibattito elettorale deve allora per forza essere quello di una profonda e radicale revisione del nostro sistema fiscale.

Aspettiamo infatti una vera riforma del sistema fiscale da oltre quarant'anni. E quarant'anni fa, è quasi inutile precisarlo, vivevamo davvero in un altro mondo. L'economia era locale, non esistevano l'euro e l’Europa con le sue regole attuali e neppure i flussi migratori. O comunque questi non avevano certo la rilevanza dei giorni nostri. Non esisteva neppure internet e con essa l'enorme bacino di tutte le transazioni on line. La stessa globalizzazione era solo la visione di poche menti prospettiche.

Questo per dire che di una profonda riflessione sulle ragioni del fisco in un Paese avanzato nel terzo millennio c'è oggi sicuramente molto bisogno. In questo senso deve essere vista la riforma. Non come il semplice aggiustamento delle norme esistenti, quanto piuttosto come la loro radicale rivisitazione alla luce dei nuovi scenari cui ci troviamo oggi davanti. Per cercare di trasformare il fisco in un reale fattore di sviluppo e di rilancio dell'economia invece di quell'insostenibile zavorra che oggi, viceversa, troppo spesso rappresenta. Proviamo allora a tracciare alcune direttrici attraverso le quali si potrebbe sviluppare un percorso realmente riformatore in ambito fiscale.
Innanzitutto il fisco deve essere di aiuto e non di peso all'economia. Perché ciò si realizzi, il prelievo fiscale complessivo deve andare a coprire esclusivamente investimenti pubblici e spesa utile.
Ogni euro prelevato oltre a tale soglia, va infatti a finanziare quella spesa pubblica improduttiva e inefficiente che il rovina il Paese, non solo per quello che sottrae direttamente all'economia, ma anche per l'indiretto effetto di lassismo e di sfiducia che genera nel contribuente.
In secondo luogo, il fisco deve essere di aiuto e non di peso nella corretta distribuzione del prelievo complessivo. Se l'obiettivo principale è quello di favorire la produzione e il lavoro, bisognerebbe incidere il meno possibile su questi fattori. Oggi invece, paradossalmente, l’Irpef finisce per applicarsi quasi solo ai redditi di lavoro. I redditi di capitale, infatti, scontano perlopiù imposte sostitutive e cedolari secche ad aliquota proporzionale. In tal modo il carico fiscale finisce per dipendere dal tipo di fonte produttiva e non dall’entità del reddito su cui questo si calcola e pertanto, in taluni casi, redditi di capitale di ammontare superiore a quelli di lavoro finiscono addirittura per scontare una minor tassazione rispetto a quest’ultimi. Bisognerebbe poi anche dirsi, senza più infingimenti e smettendola di continuare a strizzare l'occhio al proprio (presunto) elettorato di riferimento, che ciò che va consistentemente incentivato oggi è la possibilità di sviluppo di un'attività d'impresa e di lavoro autonomo in generale.
Coloro che il lavoro lo creano per se stessi, ma anche per gli altri. Bisogna far sì che in questo Paese ritornino a crescere le locomotive. Non solo i vagoni che, a lungo andare, senza più locomotive, finiscono invariabilmente, in un modo o nell'altro per agganciarsi al carro dello Stato. Cioè a noi tutti, tramite l'aumento della fiscalità generale.

In terzo luogo, grazie anche all'aumento della tecnologia, la sacrosanta lotta all'evasione deve realizzarsi sempre di più tramite la maggiore diffusione di mezzi di pagamento tracciabili. Ma, diversamente da oggi, non già penalizzando chi non si adegua ma, viceversa, premiando chi lo fa. È così difficile pensare a forme di compartecipazione all'Iva per chi utilizza volontariamente mezzi tracciabili (bonifici, assegni, carte di credito o bancomat) ovvero per chi richiede e conserva lo scontrino delle prestazioni che ha ricevuto? Altri Paesi lo fanno da tempo, perché noi no? E senza per questo ricorrere a grottesche lotterie.

Riduzione della spesa pubblica quindi e tassazione più leggera su chi lavora e produce. Oltre a ciò, meccanismi di controllo più trasparenti e meno inutilmente oppressivi.
A cui si deve aggiungere infine un sistema sanzionatorio severo ed inderogabile per chi, a quel punto, riterrà di trasgredire.
Fisco leggero e sanzioni pesanti, in definitiva. Anziché fisco pesantissimo con sanzioni spesso eventuali (anche grazie ad un uso smisurato di condoni), come purtroppo da tempo immemorabile abbiamo sinora dovuto constatare.

 

Una vera riforma fiscale al centro del dibattito elettorale

Claudio Siciliotti
@csiciliotti

08/02/2017 Il Messaggero Veneto