Un altro anno buttato via

Questo 2019 si chiuderà segnando una crescita praticamente pari allo zero e le previsioni per il prossimo 2020 indicano un’Italia ancora maglia nera in Europa. Non solo rispetto all’area euro, ma dell’intera Europa a 27. Le previsioni della Commissione Europea per il 2020 assegnano infatti al nostro Paese un risicato + 0,4%, unico dato inferiore all’unità dei 27 Paesi dell’Unione che invece, in media, crescono addirittura di un punto in più rispetto a noi (+1,4%).

Questo con un bilancio del nostro Stato che permane in deficit (previsione -2,3%), in un contesto in cui ben 16 Paesi europei (su 27) presentano invece conti in attivo e, come se non bastasse, con un debito pubblico rapportato al PIL (136,8%) secondo, per entità, solo a quello della disastrata Grecia.

Ma ciò che dovrebbe preoccupare ancor di più è la perdurante stagnazione della produttività. Tra il 1995 ed il 2018 il nostro PIL per ora lavorata è cresciuto in media dello 0,4%, un quarto della media europea (+1,6%). Al riguardo va ricordato come i periodi di grande progresso, come nell’Italia del dopoguerra, siano proprio quelli legati alla capacità di produrre di più a parità di ore lavorate. Oltre al fatto che la crescita dei salari ed anche la capacità di rimborsare il debito sono, con tutta evidenza, strettamente legati proprio alla produttività. Il nostro tasso di occupazione regge ma il problema dell’Italia oggi non è tanto la quantità del lavoro bensì la sua qualità. In altre parole, si creano posti di lavoro, ma senza corrispondenti aumenti di PIL (quella che viene definita “crescita senza prodotto”).

Possiamo solo aggiungere a questo quadro già di per sé desolante l’ulteriore dato secondo cui la maggioranza dei cittadini italiani che hanno più di 14 anni oggigiorno non lavora (unico Paese tra le società avanzate assieme alla Grecia) ed oltre il 30% dei nostri ragazzi tra i 24 e 29 anni non studia, non lavora e non si forma (la percentuale più alta in tutta Europa). Una società, la nostra, in cui i giovani sono praticamente scomparsi dal dibattito politico sovrastati da una generazione di pensionati e di pensionandi preoccupata a difendere i propri diritti acquisiti, meglio se finanziati in deficit. Se questo è il contesto in cui ci troviamo a vivere (e sfido chiunque a dimostrare il contrario), quale contributo significativo arriva per contrastare queste preoccupanti tendenze dalla manovra finanziaria per il 2020 recentemente approvata dal Parlamento? Realisticamente nessuno.

Si evita un grande dibattito sull’Iva (non era forse meglio aumentarla e ridurre di pari importo le imposte dirette sui redditi più bassi?) e ci si balocca tra plastic e sugar tax, auto aziendali e ammenicoli del genere (sono queste le priorità?), confermando misure che allontanano ancor di più dal lavoro attivo (quota 100 e reddito di cittadinanza) gli abitanti di un Paese che, come dimostrato, lavorano già oggi meno di tutti gli altri.

I governi si susseguono così inutilmente.
Cambiano pure di colore politico, ma la sostanza resta drammaticamente inalterata.
Una logica di pura sopravvivenza, senza alcuna visione prospettica e senza il minimo scarto di fantasia e di immaginazione.

Occorre invece uscire dalla rassegnazione e dare fondo alle risorse di questo Paese per ritrovare una capacità progettuale comune, finalmente in un’ottica di lungo periodo.
Nella consapevolezza che chi non è capace di progettare il proprio futuro difficilmente può sperare di averne uno.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

27/12/2019 Il Messaggero Veneto