Tassare il contante finisce per punire gli onesti, le card strumento di modernità

Secondo le voci che circolano al momento con più insistenza circa le misure che il nuovo governo intenderebbe realizzare per contrastare l’evasione fiscale nel nostro Paese (oltre 100 miliardi l’anno secondo le stime), spicca la proposta di incentivare i pagamenti elettronici e, parallelamente, quella di tassare l’utilizzo del denaro contante nelle transazioni.

Mettiamo alcuni punti fermi. I pagamenti elettronici sono uno strumento di sviluppo e di modernizzazione di una nazione. Sono alla base dell’offerta di molti servizi innovativi, migliorano l’efficienza del sistema economico nel suo complesso e tolgono spazio all’economia sommersa.

Il limitato utilizzo di pagamenti elettronici in Italia (il transato annuo pro capite è da noi inferiore del 40% rispetto alla media europea) non è un problema di infrastruttura, ma di cultura. Il numero di POS e di carte attive pro capite è infatti allineato alla media europea. Quello che manca è l’abitudine dei cittadini italiani ad utilizzare una carta di pagamento, motivata appunto dalla consuetudine ma anche, diciamolo chiaro, dall’opacità che viene garantita dal contante.

È quindi corretto avviare una politica di incentivi in questa direzione che affianchino gli obblighi di legge. I paesi più sviluppati infatti, la Svezia tanto per dirne uno, hanno saputo costruire nel tempo una cultura dei pagamenti elettronici con un intervento bilanciato sia sugli esercenti che sui consumatori. Noi viceversa, con modalità peraltro discutibili e comunque allo stato dimostratesi inefficaci, abbiamo lavorato sinora solo sul primo versante.

Inserire quindi un incentivo anche per il consumatore, costituito da una detrazione fiscale sulle operazioni eseguite con strumenti di pagamento elettronici, è senz’altro giusto e va colmare una evidente lacuna del sistema attuale. Peraltro, se correttamente calibrato, l’incentivo proposto diverrebbe senz’altro autosostenibile in quanto bilanciato da un’equivalente recupero di gettito per l’erario, per effetto della prevedibile riduzione delle transazioni per contante che oggi non vengono tracciate.

Altra cosa è l’idea di tassare i prelievi di denaro contante tramite bancomat oltre una certa soglia. Una soluzione ingiusta e francamente inefficace. Il denaro frutto di evasione fiscale difficilmente transita per banca e tassare queste ipotesi significherebbe rischiare di colpire ingiustificatamente chi il suo dovere nei confronti del fisco l’ha già fatto.

Altrettanto incomprensibile sarebbe riproporre l’ipotesi avanzata nella precedente legislatura di tassare i denari contanti giacenti nelle cassette di sicurezza. O infatti la loro provenienza è illecita e quindi si tratterebbe di una sorta di riciclaggio autorizzato dallo Stato o, viceversa, la loro provenienza è perfettamente legittima e allora si tratterebbe di tassare addirittura due volte i faticosi risparmi dei nostri concittadini.

In conclusione, incentivi ai consumatori per il maggiore utilizzo dei pagamenti elettronici e tassazione del denaro contante non devono andare necessariamente a braccetto. La prima è una misura di modernità e di progressivo contrasto all’evasione; la seconda una scelta irragionevolmente punitiva che lascia intatta l’evasione e, per di più, finisce per gravarne il peso ancora una volta sugli onesti.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

29/09/2019 Il Messaggero Veneto