Ritornare a sognare

"Fai della tua vita un sogno e di un sogno la realtà". Così scrive Antoine de Saint Exupery in quel gioiello della letteratura francese che è "Il piccolo principe". Il senso è quello di non fermarsi mai alla cruda realtà accettandone le conseguenze, ma di puntare sempre al miglioramento. Così da farlo diventare il senso, la direzione costante della propria vita. Significa avere il coraggio di osare, di volare alto, di pensare in grande. Questo, in altre parole, significa appunto sognare. Del resto, l'idea della fattibilità del miglioramento è stata sempre il motore della storia e del progresso umano ed è comunque destinata a sopravvivere anche a tutte le sue episodiche sconfitte.
Da questo punto di vista, conosciamo bene quello che viene definito il Sogno Americano.
L'idea che chiunque, indipendentemente dalla propria condizione di nascita, possa ottenere ciò che merita dalla propria vita semplicemente con la forza dell'impegno, della capacità e della determinazione. Un'idea che ha unito gli americani, aldilà delle divisioni etniche e di classe ed ha dato un senso al loro stile di vita. Ha significato far sentire le persone davvero responsabili della loro vita, far sì che possano contare su se stesse. Non sulla fortuna di appartenere ad una buona famiglia, non sul favore delle persone potenti, non sull'elemosina di chi ha di più. Il patto sociale, la costituzione non scritta che ha retto la democrazia americana, è stata proprio la promessa delle occasioni, non quella dei risultati. Un Sogno che ha permesso un secolo di progresso per gli americani e l'affermazione di un paradigma riconosciuto per gli abitanti del resto del pianeta.
Un Sogno tuttavia che oggi, se non finito, è di certo pesantemente in crisi.
La società americana ha infatti perduto quella straordinaria mobilità sociale che la caratterizzava e comincia ad assomigliare sempre di più alle stanche società del Vecchio Mondo dove è ormai molto più facile scivolare verso il basso che arrampicarsi verso l'alto. Secondo l'istituto di ricerche sociali Pew Internet & American Life Project solo il 4% dell'ultima generazione nata dopo gli anni '70 è salito di un gradino nella scala sociale. A ciò si aggiunge anche una bassissima mobilità geografica, con tassi di migrazione interna, tra uno Stato e un altro, crollati al minimo da 20 anni a questa parte. Anche gli investitori sembrano aver perso entusiasmo. Secondo PriceWaterhouseCoopers il 40% dei fondi sono andati ad iniziative imprenditoriali della Silicon Valley, contro il 30% degli anni '90. Come dire che l'intero Paese ha ormai appaltato a questa nicchia territoriale tutto il suo grado di innovazione e ha sempre meno fiducia che questo possa essere generato anche altrove. I giovani americani, poi, fanno oggi qualcosa ritenuto finora impensabile: restano, o tornano, nella casa dei genitori. Secondo il New York Times, infatti,  negli ultimi tre anni è calata del 30% la formazione di nuovi nuclei familiari. Quelli che da noi sarebbero definiti "bamboccioni", vengono chiamati  oltreoceano "boomerang generation": quelli che avevano lasciato casa per andare al college e che ora tornano indietro. Insomma, come conclude amaramente l'istituto Pew, il "sogno americano è vivo e gode di ottima salute, ma soltanto a Hollywood".
E l'Italia? Esiste da noi qualcosa che possa definirsi il Sogno Italiano?
Forse, assai più prosaicamente, il Sogno Italiano si è racchiuso in due semplici e più materiali obiettivi: una casa di proprietà ed un figlio laureato. Un Sogno che è stato la molla per la generazione del boom degli anni '60 e che ha creato la crescita economica impetuosa che ha caratterizzato quegli anni e cambiato radicalmente il nostro Paese che usciva dalle macerie della guerra. Due obiettivi tuttavia che, a ben vedere, sono stati anche la causa di molti dei nostri problemi. L'obiettivo della "casa di proprietà" ha comportato infatti una cementificazione incontrollata del nostro territorio ed una mancata prevenzione degli eventi naturali con le drammatiche conseguenze che crea, ancora oggi, una pioggia particolarmente abbondante e insistente. Oltre a ciò ha determinato la destinazione di enormi risorse alla crescita del settore edile, a discapito di quello industriale. Ma anche  l'obiettivo del "figlio laureato" ha prodotto i suoi guasti. È proliferato il mercato delle università sotto casa ed è aumentato il numero dei docenti ma non la loro qualità. Abbiamo il più alto numero di iscritti all'università ma il più basso di laureati d'Europa. Inoltre, abbiamo prodotto un'avversione per le attività tecniche e artigianali col risultato di farle diventare, sempre di più, una prerogativa della manodopera straniera.
Ma, in ogni caso, anche questo Sogno è oggi in piena crisi. L'Istat certifica il crollo del mercato immobiliare del nostro Paese: mutui e compravendite hanno registrato nel 2012, rispettivamente, un calo del 37,4% e del 22,6% rispetto all'anno precedente. A dare ancor meglio le dimensioni del trend del mercato immobiliare è il raffronto con il 2006, quando i mutui con costituzione di ipoteca furono 579 mila mentre lo scorso anni sono stati meno della metà (-54,7%). Aumenta anche l'età dei richiedenti (il 19% è over 55, contro il 12% di fine 2011). Per quanto riguarda invece le compravendite, i trasferimenti di proprietà immobiliari sono stato 632 mila ed il calo, sempre rispetto al 2006, è stato in questo caso del 43,2%. Oltre alla crisi pesano senz'altro anche ulteriori fattori tanto da poter dire che, oggigiorno, una casa in proprietà rischia di costare in tasse e manutenzioni più di quanto l'utilizzo della stessa possa costare per canoni d'affitto. A ciò aggiungasi la perdita di valore dell'investimento immobilizzato e la sua crescente difficoltà a renderlo liquido.
Sempre l'Istat demolisce anche il sogno della laurea. I "dottori" under 35 a caccia di un impiego sono oggi arrivati a sfiorare in Italia quota 200 mila con una crescita di circa il 28% rispetto al 2011 e quasi del 43% rispetto al 2008, l'anno di inizio della crisi. Senza guardare all'età, in Italia ci sono oltre 300 mila disoccupati con la laurea nel cassetto. Numerosi fattori hanno concorso, anche in questo caso, a determinare un tale risultato. In primo luogo, la riduzione delle assunzioni nella pubblica amministrazione, tradizionale bacino di sbocco di buona parte dei laureati; in secondo luogo, la forte presenza in Italia di aziende di piccola dimensione che prediligono una formazione più "pratica" di quella che un laureato può tendenzialmente offrire; infine, la scelta stessa dei corsi di studio nella considerazione che le competenze in discipline umanistiche e sociali non hanno certo oggi le stesse chances, sul mercato del lavoro, di quelle in discipline scientifiche.
Come uscirne allora? Come riaccendere la fiammella della speranza? Come invertire il corso del progressivo declino? Come ritornare finalmente a sognare?
Sergio Marchionne (ma non solo lui, per la verità) ha recentemente invocato un "piano Marshall italiano". Un piano di coesione nazionale per uscire dalla crisi e per la ripresa economica e morale del nostro Paese. Un grande sforzo collettivo, un nuovo patto sociale che permetta di cancellare opposizioni e divisioni. Il numero uno della Fiat non ha certo inteso far riferimento ad aiuti economici (che peraltro nessuno ci potrebbe oggi assicurare), quanto piuttosto invocare una visione finalmente strategica e lungimirante da parte della nostra politica, capace di accendere un'energia radicale ed innovatrice. Così da aprire un nuovo rapporto creativo tra governo e governati che induca alla partecipazione convinta pezzi importanti della nostra società. Finalmente disponibili - tutti, una volta tanto - a rinunciare a qualcosa del presente per creare qualcosa di più grande nel futuro.
E' quello che serve davvero all'Italia. Non serve a nessuno una politica che discute solo di primarie o di leggi elettorali. O, peggio ancora, di problemi personali che accendono solo l'animo dei politici degli opposti schieramenti ma che finiscono per lasciare ancora drammaticamente irrisolti tutti i grandi temi che incidono sulla nostra vita quotidiana e sulle prospettive dei nostri figli.
Serve invece una politica alta, che abbia visione, che sappia incidere sulle grandi questioni da cui dipende il nostro futuro. D'altro canto chi non progetta il proprio futuro, difficilmente potrà averne uno. Un sogno? Forse, ma chi non sogna non è mai stato in grado di cambiare il corso della storia. Ed è proprio di questo che abbiamo oggi disperato bisogno.
I tempi migliori non si aspettano, si preparano.

08/08/2013 Messaggero Veneto