Rispunta il tesoretto, ma non è quello che ci serve

Rispunta il "tesoretto". Una parola che fu utilizzata, per la prima volta, dal Ministro dell'Economia Padoa Schioppa nel 2007 per indicare l'extra gettito delle finanze statali, rispetto alle previsioni. Un'eccedenza derivante, all'epoca, dalla lotta all'evasione fiscale e dai maggiori introiti erariali. "Tesoretto" è una parola il cui uso al diminutivo sta ad indicare che la risorsa è in ogni caso di modesta entità. Una parola che, tuttavia, evoca anche una sorta di accumulo inatteso di ricchezza e quindi da gestire con particolare prudenza e oculatezza.

In questi giorni di "tesoretto" ha nuovamente parlato il premier Renzi in sede di approvazione del DEF 2015, il documento programmatico di economia e finanza di recente elaborato dal governo. In quella sede lo scarto tra l'andamento del deficit tendenziale 2015 (2,5% del PIL) e quello programmatico (fissato ad ottobre scorso, in accordo con la Commissione Europea, al 2,6%) potrebbe liberare ulteriori risorse da spendere, pari allo 0,1% del PIL (circa 1,6 miliardi). Sempre che si decida di rinunciare invece a migliorare il deficit, cioè il differenziale tra entrate e uscite. Un differenziale per noi da sempre negativo, la cui entità si va ovviamente ad aggiungere all'ingente stock di debito accumulato. Siamo quindi chiari: questo "tesoretto" di fatto non esiste. O meglio esiste solo se si aumenta il deficit di 0,1 punti.

Ma l'eventualità di approfittarne per contenere il deficit pare non venga neppure presa in considerazione.

E mentre Palazzo Chigi lancia addirittura l'hashtag #BonusDEF, si accende il dibattito su come spendere questa inattesa disponibilità. Le idee (e le richieste) davvero non mancano. Dall'edilizia popolare, alle pensioni minime, alle partite IVA, agli esodati, agli asili nido, all'estensione del bonus degli 80 euro e persino al reddito di cittadinanza.

Tutte destinazioni assolutamente meritevoli ma che non possono far dimenticare quella sana prudenza cui si è fatto cenno prima. Una prudenza che, in questo caso, forti delle esperienze del passato, dovrebbe essere esercitata con particolare attenzione. Non va dimenticato, infatti, che ciò di cui si discute sono previsioni e non risultati a consuntivo. Previsioni, nella specie, sull'andamento del PIL 2015. Previsioni che tutti i governi in passato non hanno mai azzeccato. Una volta che sia una. Sbagliando, manco a dirlo, sempre per eccesso e mai per difetto.

Non è fuori luogo ricordare infatti che il 2014 si è chiuso con una recessione dello 0,4% contro una stima di crescita, nel DEF di aprile 2014, dello 0,8%. Una stima che è stata confermata dal governo, senza alcuna incertezza, fino a giugno dell'anno scorso. Uno scarto, per intenderci, costato circa venti miliardi.

È ben vero che, quest'anno, le aspettative di crescita si fondano su elementi assai meno aleatori rispetto al passato (riduzione dei tassi di interesse, riduzione dei costi energetici e cambio euro/dollaro ritornato competitivo). E, in ogni caso, che è sempre più facile risollevarsi da una recessione che confermare una crescita. Tuttavia il male di questo Paese è sempre stato quello di aver speso le risorse assai prima di averle create. E, spesso, anche senza neppure averle create mai.

Non è quindi il "tesoretto" ciò di cui abbiamo ora principalmente bisogno, ma semmai del "tesoro". Quello vero. Quello che non può che derivare da una consistente taglio della spesa pubblica improduttiva a copertura di altrettanto consistenti tagli di tasse. Questa è la partita, non dimentichiamolo mai, su cui si gioca la nostra possibilità di una reale e duratura ripresa. Non certo su spiccioli, peraltro come sempre finanziati a debito.

Claudio Siciliotti
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28/04/2015