Quale normalità dopo la crisi?

Nel mentre siamo ancora in piena emergenza sanitaria per lo sviluppo dell’infezione pandemica da coronavirus, ci interroghiamo anche su quando potremo ritornare finalmente alla normalità. Continuare a ripetere questa parola, normalità appunto, ci induce a ritenere che ad un certo punto, prima o poi, tutto potrà ritornare ad essere quello che era prima. Vita, lavoro, consumi, abitudini. E anche governi nazionali, Europa, mondo.

Non credo che sarà così. Ciò non significa che l’emergenza sanitaria non possa risolversi definitivamente. Ho infatti una grande fiducia nella comunità scientifica e nei sistemi sanitari. Penso però che dopo, la cosiddetta normalità non sarà più quella di prima. I suoi contorni divergeranno nettamente da quelli che fino ad oggi hanno modellato le nostre vite.

Perché questo coronavirus e la sua diffusione mondiale non rappresentano solo una crisi sanitaria di immense proporzioni, ma anche l’avvio di un’imminente ristrutturazione dell’ordine politico ed economico globale.

11 anni fa un dirigente di una grande multinazionale della consulenza, Ian Davis, a commento della crisi finanziaria del 2008, scrisse: “Per alcune organizzazioni la sopravvivenza a breve termine è l’unico obiettivo all’ordine del giorno. Altri si sforzano di sbirciare nella nebbia dell’incertezza, pensando a come posizionarsi una volta che la crisi sarà passata e le cose saranno tornate alla normalità. Ma la domanda è: che aspetto avrà domani la normalità? Mentre nessuno può dire quanto durerà la crisi, ciò che troveremo alla fine non sembrerà quello che abbiamo considerato normale negli ultimi anni”. Parole perfettamente calzanti con la realtà odierna, se non apparissero addirittura sottostimare ciò che il mondo sta oggi affrontando.

Quando finalmente usciremo di casa ci ritroveremo tutti più poveri e più preoccupati per il nostro futuro. Non potrebbe essere diversamente quando una buona parte del mondo avanzato cessa di colpo di lavorare e di produrre, se non per quanto riguarda l’essenziale.

Dovremo allora prestare reale attenzione all’ambiente ed alle politiche virtuose di salvaguardia del nostro pianeta perché anche da questo dipende la diffusione delle grandi emergenze sanitarie. La ricerca scientifica dovrà risultare un’assoluta priorità. In economia dovrà ripensarsi la globalizzazione della catena di approvvigionamento per contrastare i rischi di interruzione che si verificano oggi in alcune aree geografiche. Probabilmente la strada dell’integrazione aziendale diventerà ancor più ineludibile. In ambito commerciale, è facile prevedere l’ulteriore sviluppo degli acquisti online, senza contatto fisico. Anche le istituzioni educative si dovranno spostare sull’online per offrire opportunità di apprendimento continue anche quando le aule fisiche si chiudono. Il lavoro a distanza non sarà più solo la necessità di un momento. Lo stesso sistema sanitario, in un mondo interconnesso ed estremamente mobile, dovrà avere un coordinamento anche ultranazionale. Altro che regionalizzazione. Dovranno prevedersi infatti riserve strategiche di forniture chiave e produzioni pronte a contrastare l’emergenza.

La stessa politica dovrà cambiare. Non potrà mai funzionare efficacemente se quasi tutti i problemi sono oggigiorno mondiali (ecologia, economia, sanità ma anche sicurezza e demografia, per parlare solo dei più importanti) ed i poteri, invece, sono ancora quasi tutti sostanzialmente nazionali. Alessandro Baricco ha scritto che questo è il tempo dell’audacia. Mettere da parte la tristezza e pensare. E’ quindi il tempo che le menti prospettiche si mettano al lavoro. Il percorso verso la nuova normalità sarà infatti la vera sfida che ci troveremo davanti una volta che il virus sarà finalmente debellato.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

27/03/2020 Il Messaggero Veneto