Non così si garantisce il rilancio

Alla fine, sia pure varato a maggio, con decreti attuativi che non saranno pronti prima di giugno ed un testo di oltre 250 articoli non ancora arrivato in Gazzetta Ufficiale, è stato licenziato il più volte annunciato “Decreto Aprile”. Per l’occasione ribattezzato, a scanso di ulteriori ritardi, “Rilancio”. Il premier si affretta a commentare che punta “a far correre il Paese” ed il Ministro dell’Economia assicura che “il decreto non lascia nessuno indietro e rilancerà l’economia”.

Non è facile potersi trovare d’accordo. Si ha infatti la sensazione che manchi una visione strategica della natura della crisi economica che stiamo vivendo e delle misure che devono essere adottate a favore dei soggetti che questa crisi ha effettivamente colpito. Che non sono tutti. E questo merita di essere chiarito.

Questa, a differenza della crisi del 2008, è una crisi dell’offerta e non della domanda. Una crisi che ha costretto i produttori al lockdown non per mancanza di clienti, ma per ossequio alle disposizioni emanate per contenere il contagio. L’obiettivo quindi non può (e non deve) essere quello di aiutare tutti, ma di aiutare coloro a cui il governo – sia chiaro, per condivisibili ragioni di salute pubblica – ha imposto la chiusura prima e, successivamente, imporrà, per le medesime ragioni, una riapertura ridimensionata per un non breve arco di tempo.

Secondo uno studio di Nomisma, infatti, il 65% degli italiani (quindi praticamente quasi due su tre) non ha affatto perso reddito durante il periodo di chiusura, rispetto a quello di gennaio e febbraio. Anzi, più della metà (esattamente il 54% del totale secondo Nomisma) è riuscito addirittura a risparmiare in misura uguale o maggiore a prima. Non indifferente la cifra complessiva stimata del maggior risparmio forzoso: circa 20 miliardi.

E’ allora il caso di dire una volta di più che questa crisi ha sostanzialmente colpito il lavoro autonomo, imprese e professionisti, in parte il lavoro dipendente privato (comunque coperto dalla cassa integrazione) e per nulla i dipendenti pubblici ed i pensionati. “Perché includere nelle misure i dipendenti pubblici che non hanno avuto danni e hanno qualche volta trasformato lo smart working in cura di affetti familiari?”, si chiede infatti con la sua autorevolezza il costituzionalista Sabino Cassese sulle pagine del Corriere della Sera.

Come pure va detto che non tutti i settori imprenditoriali sono stati colpiti. Se infatti la produzione industriale è crollata nel mese di marzo del 29%, non altrettanto può dirsi della grande distribuzione organizzata, cioè la rete dei supermercati, che ha visto aumentare i suoi ricavi del 10% nello stesso periodo. E che dire poi dei colossi del web se il maggiore azionista di Amazon, Jeff Bezos, ha visto aumentato il valore della sua partecipazione azionaria dall’inizio dell’anno di qualcosa come 28 miliardi di dollari (quasi una finanziaria …)? Non sarà forse il tempo di varare, non solo a parole, la famosa web tax?

Ecco allora che provvedimenti che danno un po’ di soldi a tutti, senza una visibile selezione e senza giustificato motivo, sanno tanto di assistenzialismo e di statalismo. Di cui francamente non si avvertiva la necessità, Per di più varati con la metodologia tipica della legge di bilancio, con ricorso finale alla fiducia. Della serie “se non passa il mio, allora non passa neanche il tuo …”. Non così andava fronteggiata questa emergenza.

Chiuderemo l’anno, occhio e croce, con il Pil di vent’anni fa (quindi due decenni buttati via dal punto di vista della crescita) ma con un debito al 160% (vent’anni fa era al 100%), con la prospettiva concreta di un crollo delle entrate fiscali falcidiate dalla crisi. Non è proprio il caso di scherzare.

Non è per niente vero che “tutto andrà bene”, se non si è in grado di creare le condizioni per cui questa volontà possa realizzarsi.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

16/05/2020 Il Messaggero Veneto