Niente ripresa ma l' illegalità gonfia il PIL

E così dal prossimo mese di settembre noi italiani potremo sentirci in qualche modo un pò più ricchi. Almeno per quanto riguarda i calcoli statistici.
Il 22 settembre entrano infatti in vigore le nuove regole dell'Unione Europea per il calcolo del prodotto interno lordo che prevedono il conteggio aggiuntivo di alcune voci in precedenza non considerate. Tra queste, quelle che hanno fatto maggiormente discutere, sono quelle che riguardano tutte le attività illegali come, ad esempio, il traffico di droga, la prostituzione, il contrabbando. Va ricordato, al riguardo, che comunque il calcolo del PIL prevede da sempre una stima del cosiddetto "sommerso", cioè dei proventi che derivano dalle attività sottratte all'imposizione fiscale. Una stima quest'ultima che, è quasi superfluo ricordarlo, non ha mai cessato di far discutere.
Per tenere in debito conto questa importante novità di calcolo, la nota di aggiornamento del Def, originariamente prevista per il prossimo 20 settembre, sarà pertanto posticipata al successivo 1 ottobre.
Secondo le stime della Banca d'Italia, l'economia illegale costituirebbe circa l'11% dell'intera ricchezza prodotta dal nostro Paese. In soldoni, circa 30-35 miliardi. Più o meno due punti di PIL.
Tutto ciò è destinato ovviamente a ripercuotersi sui principali indicatori di finanza pubblica.
Secondo le previsioni di Nomisma, si conferma un impatto fino al 2% in più sul PIL, un miglioramento del rapporto deficit/PIL intorno allo 0,1% circa ed una ben più ampia riduzione di quello debito/PIL nell'ordine del 2,6/2,7% in meno.
In altre parole, almeno dal punto di vista strettamente contabile, l'illegalità determina quella crescita che viceversa non si genera per effetto di una ripresa che ancora non c'è.
Ma, ovviamente, non è così.
E allora stupiscono alcuni commenti di questi giorni su tale innovazione, sia dal punto di vista contabile che da quello, per così dire, morale.
Dal punto di vista contabile, non è certo possibile registrare una crescita confrontando, per così dire, patate con cavoli. Chiunque abbia una minima dimestichezza coi bilanci sa infatti benissimo che, cambiando i criteri di calcolo, è necessario modificare, di conseguenza, anche quelli dell'esercizio preso a riferimento per il confronto. Pertanto non credo proprio sia serio pensare che il fatidico tetto del 3% deficit/PIL possa dirsi più facilmente alla nostra portata semplicemente per effetto di tale novità. Oppure pensare che così si possa dire di aver ridotto l'incidenza del nostro debito come se questo fosse l'agognato effetto di un'efficace spending review. Oppure infine pensare di aver ridotto la pressione fiscale per il semplice fatto che il carico delle imposte pagate si rapporta ad un PIL ulteriormente allargato da attività che, evidentemente, oltre alle leggi ordinarie violano anche quelle fiscali.
Ma c'è un altro aspetto da considerare sempre dal punto di vista contabile. La novità finisce per estendere la porzione di PIL derivante da stime e non da dati oggettivamente riscontrabili. Così non solo l'entità del sommerso fiscale sarà terreno di estenuanti dispute a tutto campo ma, d'ora in avanti, anche quella delle attività illlegali. Col rischio di creare ulteriori chimere difficilmente raggiungibili che finiscano per ritardare quei provvedimenti semplici ma concreti a favore della ripresa.
Anche le dispute sulla presunta immoralità del provvedimento appaiono però francamente fuori luogo. Il PIL non è fatto per misurare il progresso ed il benessere di una collettività. Fornisce semplicemente un quadro, il più aderente possibile alla realtà, del circuito economico di un Paese. Nel quale, piaccia o meno, si produce ricchezza anche sottraendosi alle imposte e contravvenendo alle leggi.
Sono due piani assolutamente distinti. Il PIL misura tutto, diceva Bob Kennedy nel lontano 1968, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.
A maggior ragione oggi, per favore, non dimentichiamocelo.

27/08/2014 Messaggero Veneto