Le parole e i numeri della politica

Troppo spesso sentiamo ripetere parole ed espressioni fino a perderne il significato originario. Col risultato di smarrirne del tutto anche il senso concreto.
Ci diciamo da tempo che siamo "sull'orlo del baratro" e, nel pronunciare ripetutamente quella stessa espressione, ci convinciamo di non esserci ancora finiti dentro.  Così un'espressione minacciosa, reiterata nel tempo, finisce per diventare addirittura consolatoria.
Al tempo stesso, alcune petizioni di principio, anch'esse ripetute costantemente, ci danno la sensazione di aver davvero capito cosa bisogna fare. Adesso è il momento di "rilanciare l'economia", ora "giù le tasse" oppure "via con le riforme".
In realtà l'economia va a rotoli, le tasse sono sempre più alte e di riforme non si vede neanche l'ombra. Ciò non di meno non passa giorno che qualcuno non ci propini una di queste formidabili ed innovative ricette.
Anche le singole parole, ripetute spesso, finiscono per farci assuefare ad un significato che non hanno più. Si discute in questi giorni di "acconti" di imposte da pagare. Ma quando questo presunto "acconto" raggiunge il 100% o addirittura lo oltrepassa perché continuare a chiamarlo così? Non è forse più corretto definirlo un "saldo anticipato" o, per la parte che supera il 100%, persino un "prestito" che lo Stato chiede al cittadino?
Credo che la più grande mistificazione sia oggi proprio quella delle parole e delle espressioni inappropriate di cui tanti (troppi) fanno disinvolto uso.
Lo stesso dicasi per i numeri. Si sparano cifre, più spesso in forma di rapporti percentuali che, di fatto, allontanano la percezione della realtà anziché concretamente definirla.
Il rapporto "deficit/Pil" è al disotto del 3% e quindi l'Europa, finalmente, ci dice che i nostri conti sono a posto. Sospiro di sollievo: l'emergenza è finita e, qualcuno pensa, si può tornare allegramente a spendere o, quantomeno, a promettere. Ma la realtà non è questa.
Verrebbe innanzitutto da chiedersi dove sia finito il tanto decantato "pareggio di bilancio" per il quale abbiamo addirittura scomodato una modifica costituzionale. Salvo che, anche lì, a ben vedere, l'art. 81 della Costituzione recentemente rinnovata non parla affatto di "pareggio", bensì richiama il termine assai più soggettivo ed ambiguo di "equilibrio".
Credo ormai da tempo che, se si vuole effettivamente che i numeri siano capiti da tutti, abbia assai più senso parlare di grandezze assolute. Entrate, uscite, avanzo/disavanzo, debito e Pil. Bastano queste.
Attingendo ai dati ufficiali del MEF, confermati di recente dal ministro Saccomanni in audizione al parlamento, i dati consuntivi 2012 sono: entrate 753 miliardi, spesa pubblica 801, deficit 48, debito 1.989, Pil 1.566. Le previsioni 2013 sono: entrate 765 miliardi, spesa pubblica 811, deficit 46, debito 2.051, Pil 1.573.
Ma l'andamento del primo trimestre 2013 già ci dice che le previsioni dell'anno in corso andranno riviste in senso peggiorativo: il Pil crescerà di meno e le uscite sono in aumento rispetto alle entrate.
A parte quest'ultima considerazione, questi numeri ci disegnano una realtà assolutamente evidente: 1) continuiamo a spendere sempre di più di ciò che incassiamo, così come abbiamo sempre fatto ininterrottamente dal tempo della Prima Repubblica (altro che Terza ...); 2) la spesa non solo non diminuisce ma addirittura si prevede che cresca; 3) aumentare le tasse non si può più perchè la pressione fiscale è giunta ormai a livelli insostenibili; 4) il debito sale ancora e non si vede come possa mai essere restituito se si continua a spendere di più di quanto si incassa.
Quali ricette allora? Quelle di sempre. Ma facendo una volta tanto quello di cui sinora si è solo parlato, non di rado a vanvera: 1) la spesa non può più continuare a crescere, deve per forza essere ridotta con un piano credibile di tagli che eliminino i tanti sprechi che le cronache impietosamente ci documentano e portino alla sua progressiva riduzione complessiva; 2) l'evasione fiscale, che viene stimata in circa 120 miliardi, deve essere perseguita con silenziosa efficienza e non solo con sporadica spettacolarità; 3) le risorse annualmente recuperate dai tagli di spesa e dal contrasto all'evasione vanno collocate in un fondo destinato a ridurre le tasse di chi già le paga; 4) il debito deve essere progressivamente ridotto con un piano programmato di dismissioni dei troppi asset che inutilmente detiene il nostro Stato.
Si può fare? Di più, si deve fare. E' troppo chiedere allora a chi ci governa di dirci con precisione, con quei numeri doverosamente alla mano, come e quanto pensa di poter ridurre nel prossimo futuro la spesa pubblica, il debito e la pressione fiscale? Perchè tutto il resto, diciamolo con franchezza, è buono solo per animare i consunti riti delle sceneggiate televisive.
Siamo dentro il baratro e non più solo sull'orlo. Dircelo con chiarezza ci aiuterà ad uscirne più di quanto possa farlo un finto ottimismo di maniera. Proprio per questo contano anche le parole e i numeri. Quelli giusti.
Ma per uscirne abbiamo anche bisogno di veri leader che quelle parole e numeri li sappiano usare, rivolgendosi ai cittadini con calore ed onestà, dirigendosi ai loro cuori in maniera semplice, senza ricorrere ad astruse formule tecniche. Leader che sappiano coinvolgerci in un'azione di vero risanamento che non potrà mai avere successo senza il convinto appoggio e la disponibilità al cambiamento dei più larghi strati della nostra società civile. A partire dai nostri giovani che con il futuro, auspicabilmente, dovranno fare i conti per più lungo tempo.
Non è infatti solo il denaro per equilibrare i conti che manca oggi all'appello. Manca la fiducia, la fiducia nel futuro che ci attende. Ed è la fiducia che, alla fin fine, porta il denaro. Mai viceversa.

11/07/2013 Messaggero Veneto