La pesante eredità delle clausole di salvaguardia

A due mesi dalla conclusione della campagna elettorale, senza che le prospettive di insediamento di un nuovo governo si siano ancora chiarite, comincia a profilarsi la dura realtà con la quale comunque saremo chiamati a fare i conti a breve.

A dispetto delle promesse elettorali di riduzione delle tasse che tutti i partiti, se pur con sfumature e articolazioni diverse, non hanno mancato di assicurare per conquistarsi il voto degli elettori, dobbiamo dirci con chiarezza che, in questa situazione, sarà già tanto se si riuscirà ad evitare che le tasse aumentino.

Dobbiamo infatti prima di tutto disinnescare nuovamente l’eredità delle cosiddette “clausole di salvaguardia” (12,4 miliardi per l’anno in corso) per evitare che, dal prossimo 2019, aumentino le aliquote IVA fino ad arrivare al 25% e al 13% (rispettivamente dal 22% e dal 10% attuali).    

In altre parole, prima di parlare di flat tax, di estensione degli 80 euro, di abolizione delle tasse universitarie, del canone Rai, dell’Irap o di reddito di cittadinanza - tanto per citare alcune delle promesse elettorali - bisognerà fare i conti con gli impegni già assunti in sede europea, atteso che non sembrano esistere i margini per ottenere oggi la concessione di ulteriori flessibilità nei prossimi anni.  

Non è fuori luogo ricordare allora cosa sono queste “clausole di salvaguardia” e perché periodicamente siamo costretti a tornare a parlarne.

Le “clausole di salvaguardia” sono state inserite, per la prima volta, nella manovra di bilancio 2011 dal governo Berlusconi.

All’epoca, con una buona dose creatività che all’allora ministro dell’economia Tremonti di certo non faceva difetto, fu inserita una previsione di entrate 2012 di ben 20 miliardi a fronte di imprecisati tagli futuri della spesa.

Una così generica previsione di entrata fu consentita dall’Europa solo con l’impegno preciso, nel caso l’obiettivo indicato non fosse raggiunto, di aumentare appunto l’IVA e le accise in misura equivalente.

In pratica un buco di bilancio reale diventava in questo modo prospettico, quasi una realtà virtuale, lasciata in eredità ai governi a seguire.

Così, appunto dal 2012, la gran parte della manovra annuale di bilancio che ciascun governo si trova a dover affrontare è destinata a reperire innanzitutto le risorse non già per garantire lo sviluppo futuro ma semplicemente per impedire di dover saldare i conti del passato. 

Inutile evidenziare quali sarebbero le conseguenze in termini di stretta dei consumi derivanti da un aumento dell’IVA.

Si tratterebbe di un ennesimo balzello sui prezzi che andrebbe ad incidere sulle tasche di tutti i cittadini riguardando beni di uso quotidiano, con l’introduzione di un aliquota ordinaria (25%) che nell’unione europea ci vedrebbe secondi solo all’Ungheria (27%), ma ben al di sopra di paesi come Germania (19%), Francia (20%) o Spagna (21%).

Forse, prima di discutere su chi formerà il prossimo governo, ci si dovrebbe mettere d’accordo tutti assieme su come evitare che uno scenario del genere possa diventare realtà.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

14/05/2018 Il Messaggero Veneto