Il condono è legge ma non c'è pace fiscale senza equità

Il tanto discusso “condono” è diventato legge (DL 23 ottobre 2018, n.119) e, pur dovendosi attendere i 60 giorni per la sua definitiva conversione, il provvedimento entra immediatamente in vigore dopo la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (avvenuta il giorno stesso).

Sono quindi già efficaci ed applicabili le norme riguardanti la definizione agevolata del contenzioso tributario, lo stralcio delle cartelle fino a mille euro ed anche la tanto discussa dichiarazione integrativa speciale che consentirà l’integrazione degli imponibili dichiarati fino al 30%, nel limite complessivo annuo di 100.000 euro, pagando un’imposta sostitutiva del 20% sui maggiori importi dichiarati.
Probabilmente si è discusso troppo di quest’ultimo provvedimento la cui rilevanza è, tutto sommato, limitata.

Eccessivo è risultato infatti il clamore sugli sconti penali che la norma, in una sua prima versione, avrebbe riservato agli aderenti, atteso che le soglie penali si situano attualmente su importi generalmente superiori rispetto a quelli ammessi all’integrazione.

Aggiungasi che il tetto dei 100.000 euro “annui” (e non più per singola imposta) rende il provvedimento maggiormente limitato ed evidentemente poco appetibile per i casi di evasione di più rilevante entità.

Piuttosto, come già osservato, il vero condono è quello sul contenzioso tributario dove gli sconti sulle imposte contestate sono particolarmente generosi (fino all’80%) e l’azzeramento previsto delle sanzioni assume particolare rilievo specie nei casi in cui (dichiarazione infedele o addirittura fraudolenta) queste arrivano a raddoppiare o persino a triplicare l’importo del tributo originario.

Ma non è tanto questo il problema principale, dobbiamo dircelo con franchezza.

Tutte le volte in cui una norma di legge consente a chi non l’ha osservata in precedenza di sanare la sua posizione pagando dopo e meno (talvolta, come si è visto, anche molto meno) non può continuare ad essere ignorato l’aspetto di chi, viceversa, spesso con sacrifici, ha scelto invece di pagare il dovuto. Il tema non può considerarsi solo finanziario.

La “pacificazione fiscale” dovrebbe essere innanzitutto equità e giustizia. Altrimenti pace non sarà mai.

Perché allora nelle varie (e purtroppo ripetute) edizioni dei diversi condoni fiscali nessun governo ha mai previsto forme di credito d’imposta o comunque di riconoscimento a favore dei contribuenti corretti che, pur in difficoltà, hanno scelto ugualmente di osservare i loro doveri fino in fondo?

Perché questo non serve a fare cassa, anzi, sarebbe la risposta. E di questo c’è bisogno.

Ma questa esigenza non può essere mascherata con una parola tanto solenne e impegnativa come “pace”.

Sarebbe come se gli insegnanti promuovessero gli alunni che non hanno studiato, che non hanno fatto i compiti e che magari hanno fatto pure i bulli con i loro compagni di classe.

Questa non sarebbe pace, ma la fine della nostra scuola.

Forse a questi temi si dovrebbe dedicare maggiore attenzione, non continuando a barattare sempre l’oggi col domani.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

30/10/2018 Il Messaggero Veneto