Generation jobless

"Generation jobless", generazione senza lavoro, titolava qualche mese fa l'Economist, dedicando addirittura la sua copertina al fenomeno della disoccupazione giovanile ed alla crescita globale dei senza lavoro under 24.
Secondo il settimanale britannico, nei Paesi avanzati sono 26 milioni i giovani disoccupati (tra i 15 e i 24 anni) che non studiano o non frequentano un corso di formazione. In aumento del 30% rispetto al 2007, calcola l'Ocse. E in tutto il mondo il numero dei giovani in cerca di impiego sale a 75 milioni secondo l'organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Ma, se si considerano più in generale i giovani economicamente inattivi (comprendendo quelli che il lavoro neppure lo cercano), il numero esplode a oltre 300 milioni a livello globale. Una vera e propria ecatombe provocata dalla bassa crescita, da mercati troppo rigidi e dal disallineamento tra scuola ed aziende, scrive l'Economist.
Il fenomeno non risparmia certo l'Europa. Il tasso di disoccupazione giovanile è del 58,4% in Grecia, del 57,2% in Spagna, del 37,8% in Italia, del 27,2% in Francia. La situazione è in realtà ancora più critica se si considera che i giovani che sono riusciti a trovare una qualche forma di impiego sono in maggioranza precari e mal retribuiti.
In questo panorama di certo assai preoccupante, l'Italia sta ancora peggio. Il nostro Paese vanta infatti la percentuale più elevata d'Europa dei cosiddetti "neet" (not in employement, education or training), cioè dei giovani senza reddito e con una scarsa qualifica professionale. La nostra quota complessiva è ormai al di sopra del 21% (nel 2007 era il 16% circa). Persino Grecia (20,3%) e Spagna (18,8%) stanno meglio di noi, per non parlare della Germania (7,5%) o di Olanda, Norvegia e Danimarca (tutti sotto il 6%).
Una drammatica emergenza nazionale quindi, in un contesto mondiale ed europeo comunque già di per sè molto preoccupante. Una generazione intera che rischiamo di perdere. Una generazione che finisce per abbandonare ogni speranza di costruirsi un futuro decente per sè e per la propria famiglia.
Un'emergenza che non sembra potersi dire efficacemente affrontata con il recente decreto legge approvato dal governo (D.L. 76/2013) dove viene previsto il cosiddetto "bonus assunzioni". In sostanza vengono introdotti una serie di incentivi per i datori di lavoro nel caso in cui assumano, con contratto a tempo indeterminato, giovani lavoratori (tra i 18 e i 29 anni) che si trovino in almeno una di queste tre condizioni: che siano privi di impiego retribuito da almeno sei mesi, che vivano soli con una o più persone a carico, che siano privi di un diploma di scuola media superiore o professionale. Quest'ultimo requisito ha fatto molto discutere. È davvero una scelta a dir poco singolare quella di considerare che l'assenza di merito scolastico finisca per costituire addirittura un fattore premiale per consentire un'assunzione! Ancora di più il fatto che il decreto esca nel periodo in cui i nostri giovani sono impegnati negli esami di maturità: davvero un bell'incitamento all'impegno dei loro studi! Forse i titoli di studio non sono sempre una garanzia di qualità e di preparazione ma, nell'era della conoscenza, non possono certo preferirsi coloro che quei titoli non hanno neppure voluto o saputo conseguirli.
Il punto però è che questo non è neppure il principale difetto della norma che si proporrebbe di dare slancio all'occupazione giovanile. Questo risiede, a mio giudizio, nella sua visione prospettica del mercato del lavoro futuro. Una visione vecchia, orientata al passato e priva della necessaria sensibilità sui cambiamenti oggi in atto. Si guarda infatti solo alle "assunzioni a tempo indeterminato". Cioè solo e soltanto al lavoro fisso e dipendente. Ma chi li assumerà mai questi giovani se non si creeranno anche le opportunità per far nascere nuovi datori di lavoro? Per far ripartire il treno bastano i vagoni o bisogna mettere in moto anche (e prima) le locomotive?
Cito un bell'articolo di Walter Passerini pubblicato su La Stampa dello scorso giugno dove l'autore così descrive il lavoro nel mondo di domani:"Il futuro del lavoro sarà: più indipendente e autonomo che dipendente; più globale che locale; più rosa che grigio, perché le donne riprenderanno la loro conquista di posti dopo troppe attese; sarà anche più competente e formato che generico; di alta qualità più che di esecuzione; più flessibile e intermittente che fisso e pianificabile".
Davvero difficile dargli torto. Ma ancora più difficile pensare, se ne si condivide la visione, che la scelta fatta dal governo possa andare effettivamente nella direzione giusta.
Personalmente resto dell'idea che la strada giusta sia quella della detassazione dell'intero lavoro giovanile, sia dipendente che autonomo. Le risorse, per quanto scarse, vanno indirizzate assolutamente in quella direzione. Sarebbe quella prova di fiducia che i nostri giovani attendono ed un fattore di coesione tra generazioni. Una misura di giustizia e di solidarietà sociale.
Bisogna creare una "no tax area" IRPEF per i redditi da lavoro fino al raggiungimento del trentesimo anno di età e fino a concorrenza della soglia del secondo scaglione d'imposta (28 mila euro). Una proposta che ho già fatto sulle pagine di questo giornale ed ai cui dettagli faccio pertanto riferimento.
Una proposta che però può avere anche una declinazione regionale.
Il Friuli-Venezia Giulia deve tornare ad essere "speciale" recita il fortunato slogan con cui è stata eletta alla presidenza della nostra regione Debora Serracchiani.
"Speciali" significa anche essere di esempio per gli altri. A livello nazionale e non solo. Significa ambire a diventare un punto di riferimento indiscusso per politiche realmente innovative, in grado di contrastare la crisi e di creare i presupposti per il suo superamento.
Perché allora non togliere del tutto l'addizionale regionale IRPEF (1,23%) a tutti i redditi di lavoro dei giovani under 30 della nostra regione fino alla soglia del secondo scaglione d'imposta? In Friuli la popolazione under 30 è di circa 163 mila unità e gli occupati sono circa 67 mila (41,2%). Ipotizzando che i redditi medi dei giovani friulani siano gli stessi rilevati secondo le medie nazionali, l'azzeramento dell'addizionale regionale per i redditi da lavoro under 30 - dipendente ed autonomo - comporterebbe un minor gettito potenziale di circa 12 milioni di euro. Pari a circa il 6% dell'intera addizionale IRPEF e poco più dello 0,2% delle entrate totali della regione. Sul versante del giovane lavoratore, l'agevolazione comporterebbe un risparmio d'imposta fino a 344 euro all'anno (sul reddito massimo agevolabile di 28 mila euro).
Ma non è tanto l'entità del beneficio a suggerirne l'opportunità, quanto l'effetto simbolico che questa misura potrebbe avere. Per il Friuli, una regione che sa guardare ai suoi giovani. Per l'Italia, che al nuovo "laboratorio Friuli" non potrà mancare di fare riferimento.

31/07/2013 Messaggero Veneto