Diritti acquisiti, rimettiamoli in discussione

L'equilibrio sociale di un paese si giudica dal modo in cui disciplina quelli che sono gli elementi fondanti della convivenza civile di ogni moderna democrazia: il lavoro e la solidarietà.
Se ciò è vero, dobbiamo dirci allora con franchezza che il mercato del lavoro e il welfare presentano ancora oggi in Italia delle inaccettabili asimmetrie tra chi risulta ipergarantito e chi risulta, invece, privo di ogni significativa tutela.
Una linea di confine tracciata sulla base di un unico criterio: quello del diritto acquisito da alcuni sulla ricerca di diritti sostenibili per tutti. Quello dell'egoismo a danno delle generazioni future. E quando parliamo di generazioni future, sia ben chiaro, parliamo dei nostri figli. I figli di questo Paese ai quali distruggiamo quel futuro che viceversa dovremmo loro garantire.
Oggi abbiamo un diritto del lavoro ed un sistema di welfare che, nonostante le parziali modifiche intervenute in questi ultimi anni, risultano pur sempre improntati alla staticità ed all'iniquità.
Abbiamo infatti consentito che negli anni il lavoro stesso si potesse trasformare in una sorta di proprietà personale e di intoccabile diritto acquisito (staticità). Peggio ancora, abbiamo consentito che esso fosse tale soltanto per alcuni, ma non certo per tutti (iniquità). Se infatti un lavoratore è impiegato con un contratto di lavoro a tempo indeterminato in una grande azienda, è virtualmente illicenziabile e, nel caso di dissesto dell'azienda, ha maggiori possibilità di beneficiare di ammortizzatori sociali. Se invece un lavoratore è impiegato con contratto di lavoro a tempo indeterminato in una piccola azienda, ha minori tutele sul fronte del licenziamento e minori possibilità di beneficiare di ammortizzatori sociali. Se infine un lavoratore è impiegato con contratti di lavoro flessibili in una qualunque azienda o pubblica amministrazione, può essere mandato a casa alla scadenza del contratto (se non prima) e non ha sostanzialmente la possibilità di beneficiare di alcun ammortizzatore sociale.
Le stesse asimmetrie che caratterizzano il mercato del lavoro si ripropongono tali e quali anche sul versante pensionistico. Per decenni, sia la previdenza pubblica che quella privata, hanno garantito prestazioni sganciate dalla sottostante contribuzione del lavoratore e ricondotte invece al livello dei salari dell'ultimo decennio di attività. Una scelta talmente generosa che ha fatto insorgere un'insostenibilità finanziaria che ha imposto di cambiare rotta. Ma ovviamente lo si è fatto ancora una volta nel nome del diritto acquisito. Facendo quindi salvi tutti i diritti pensionistici maturati con il sistema "retributivo" fino all'anno di conversione del medesimo in "contributivo".  Per anni ed anni i nostri giovani dovranno quindi farsi carico di flussi pensionistici di cui, a parità di condizioni, non potranno mai godere e che sono sensibilmente superiori a quelli che spetterebbero agli attuali e prossimi pensionati sulla base della semplice capitalizzazione dei contributi da essi effettivamente versati.
Con questo non si vuol dire che la logica del diritto acquisito sia di per sé a priori sbagliata. Anzi è sicuramente un sintomo di civiltà e di rispetto della comunità nei confronti del singolo individuo. Si vuole dire che ciò resta vero solo fino a quando un diritto può continuare ad essere legittimamente acquisito da tutti. Quando invece ciò si rivela non ulteriormente possibile e si rimodulano addirittura al ribasso i diritti che potranno essere acquisiti in futuro pur di non intaccare il livello di quelli già acquisiti da altri, ecco allora che la giustizia si trasforma in ingiustizia. E quando un diritto acquisito non può più rimanere tale per chi a sua volta aspirerebbe a conseguirlo, allora è giusto che ciascuno debba essere chiamato a dare il proprio contributo per disegnare da subito un nuovo equilibrio sostenibile.
La logica del diritto acquisito è proprio ciò che oggi principalmente blocca il Paese e scarica sui giovani l'intero peso della crisi. I giovani non devono essere spinti a battersi per poter ereditare tutele e diritti insostenibili, ingegnandosi a trovare a loro volta qualcuno cui lasciare il conto da pagare. Bisogna fare in modo che al loro sacrificio ne corrisponda uno altrettanto grande da parte di chi si trincera dietro la logica del diritto acquisito.
Chi ostacola oggi riforme del mercato del lavoro in cui siano tutti un po' flessibili e un po' tutelati, invece che iperprecari da una parte e ipergarantiti dall'altra, difende apparentemente un diritto acquisito ma in realtà si disinteressa del futuro di questo Paese. Parimenti, chi ostacola oggi riforme previdenziali che avvicinino da subito la realtà a quella che attende i giovani, così da trovare un punto di equilibrio a mezza via per tutti, difende apparentemente un diritto acquisito ma in realtà si disinteressa del futuro di questo Paese. Ma i giovani non possono disinteressarsi del futuro. Perché hanno solo quello per poter sperare di avere, un giorno, un passato da raccontare.
E tutto ciò non è di certo indifferente anche dal punto di vista della dinamica sociale. Questa è una società che ormai consente a quote crescenti di pensionati di fare una vacanza all'estero ma che, al tempo stesso, impedisce a quote crescenti di giovani di progettare un proprio futuro. Questo sta diventando un Paese dove ormai si vendono più pannoloni che pannolini! Una società stanca in cui prevale la paura sulla speranza. Una società che porta chi è o si percepisce fuori dal recinto garantito del lavoro e della previdenza sociale a perdere la speranza di potervi entrare. E, viceversa, spinge quelli che sono dentro a proteggersi nel timore di potervi uscire.
Un sano dibattito sui diritti acquisiti, rimettendoli in discussione per attenuarne l'impatto a favore di una maggiore disponibilità per gli italiani del domani, è quindi indispensabile. Darebbe una significativa scossa a favore della ripartenza economica e sociale del nostro Paese. Creando così un mercato del lavoro più inclusivo per chi ha talento e merita ed un welfare più dignitoso per chi oggi ne è fuori.
Diciamoci con chiarezza, in definitiva, che chi accetta le peggiori derive del presente non soltanto non fa niente perché il nostro futuro sia migliore, ma sta operando perché questo sia pessimo con la sola scusa di ritenerlo immodificabile.

19/09/2013 Messaggero Veneto