Di procedura d'infrazione ne sentiremo parlare a breve

Alla fine la procedura d’infrazione per deficit eccessivo, a causa dell’alto debito, è stata evitata e la Commissione europea ha dato il via libera ai conti pubblici italiani.

Una svolta che ormai era nell’aria ma che comunque ha scatenato l’entusiasmo dei mercati finanziari riportando lo spread al di sotto di quota 200 e Piazza Affari a guadagnare più del 2%.
E questa è senz’altro una buona notizia.

Determinante è stato l’assestamento di oltre 7 miliardi deciso dal Consiglio dei Ministri per coprire il buco di bilancio che ha riportato il deficit intorno al 2% come stabilito nella manovra 2019, compensando così la minore crescita rispetto alle più ottimistiche previsioni del governo. Una correzione dei conti ottenuta peraltro blindando anche i risparmi realizzati su reddito di cittadinanza e quota 100, impedendo che le somme in esubero rispetto alle previsioni possano essere usate per altre finalità.

Ancor più determinante però è risultato l’aver dato piene garanzie sul bilancio 2020, vera e propria “condicio sine qua non” per fermare la procedura d’infrazione.

Va ricordato che il DEF approvato ad aprile prevede, per il 2020, un deficit ulteriormente ridotto (dal 2% all’1,8%) anche grazie all’aumento dell’Iva e senza affatto prevedere nessuna di quelle misure che invece le diverse anime del governo annunciano da tempo come ormai imminenti (flat tax, abbassamento del cuneo fiscale, salario minimo, tanto per citare le più importanti).

Quindi per mantenere le promesse fatte a Bruxelles per il 2020 occorrerebbe innanzitutto mettere sul tavolo coperture certe e strutturali per circa 23 miliardi per evitare l’aumento dell’Iva e poi, se si volesse pure tagliare le tasse, trovarne altri 15 per dar corso al più volte promesso abbassamento al 15% delle imposte personali per i redditi fino a 50.000 euro (cd. flat tax).

In tutto poco meno di 40 miliardi, non proprio bruscolini. E senza ricorrere ad “una tantum” e deficit, non proprio una passeggiata di salute.

E non sarebbe neppure credibile lamentare, a quel punto, come ha fatto anche di recente dal premier Conte nella lettera ai Paesi europei, i danni che provoca l’eccesso di rigorismo e l’austerità. Se austerità, infatti, vuol dire contenimento del debito pubblico attraverso maggiori tasse e/o minori spese allora diciamoci che una politica di austerità nel nostro Paese, negli ultimi 12 anni, non c’è mai stata. Infatti il debito in Italia non è mai diminuito, né in rapporto al Pil né tantomeno in valore assoluto.

Se in questi anni abbiamo dovuto ridurre i consumi è perché si è fermato il motore della crescita, non certo perché abbiamo dovuto risanare i conti pubblici. I numeri sono lì a dimostrarcelo.

Ecco allora che andrebbe accolto con maggiore sobrietà, almeno dai nostri esponenti di governo, il risultato comunque positivo di aver evitato, almeno nell’immediato, l’avvio di una procedura d’infrazione europea. Perché i nodi più importanti sono tutt’altro che risolti. Tutt’al più rimandati.

E non è detto che la nuova Commissione europea che si insedierà in autunno si riveli altrettanto accondiscendente se l’Italia dovesse violare per il 2020 l’accordo appena siglato.

La sensazione, purtroppo, è che di procedura d’infrazione si tornerà a parlare a breve.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

05/07/2019 Il Messaggero Veneto