Detassare i redditi di lavoro under 30: un atto di giustizia ed un'iniezione di fiducia per la ripresa della nostra economia

Sono da tempo convinto che il clima di pessimismo e di sfiducia nel futuro sia il principale ostacolo alla ripresa civile ed economica del nostro Paese.
L'economia langue perchè manca la fiducia, è assai meno vero il contrario.
Manca infatti la fiducia che in Italia si possa oggi fare impresa con margini di successo, anche se si dispone di capacità e di talento.
Tanto che i migliori scelgono oggi di emigrare e molti autorevoli commentatori consigliano loro esplicitamente di farlo come unica via possibile all'affermazione ed al riconoscimento delle loro capacità.
Abbiamo pertanto bisogno di segnali forti, chiaramente percepibili, che riaccendano quella fiammella di speranza e siano riconosciuti da tutti come qualcosa che corrisponde alle aspettative di giustizia e di solidarietà che animano la gran parte dei cittadini italiani.
Non v'è dubbio che i giovani di oggi siano i più penalizzati e, al tempo stesso, i meno responsabili della più grave crisi dal dopoguerra in poi e siano per di più gravati da una quota di debito pubblico che non hanno minimamente contribuito a creare.
È quindi nei loro confronti, prima di tutto, che va fatta giustizia.
Di qui l'idea di immaginare una detassazione dei redditi di lavoro dei giovani fino a compimento del trentesimo anno di età.
Naturalmente ne andrebbe valutato l'impatto in termini di minor gettito, tuttavia i dati sempre più preoccupanti sulla disoccupazione e sulla sottooccupazione giovanile potrebbero far pensare che la perdita non dovrebbe risultare particolarmente significativa.
Altrettanta attenzione dovrebbe essere dedicata ai prevedibili abusi, in termini di intestazioni fittizie, che potrebbero sicuramente risultare incoraggiati da una norma tanto vantaggiosa.
In questo caso andrebbero senz'altro intensificati i controlli ed inasprito il relativo sistema sanzionatorio.
I benefici sarebbero però di gran lunga superiori ai potenziali rischi.
Oltre a restituire ai giovani parte di ciò che è stato loro tolto, una previsione del genere favorirebbe le assunzioni, stimolate da un minor costo del lavoro per effetto della maggiore disponibilità economica che residuerebbe in capo al giovane lavoratore.
Oltre a ciò risulterebbe più efficacemente contrastata la piaga del lavoro nero,  a motivo dell'impossibilità di esercitare qualsivoglia forma di ricatto su un'attività che non avrebbe più alcuna convenienza a risultare non regolare.
Inoltre si realizzerebbe una migliore selezione ed una velocizzazione dei percorsi formativi,  in quanto un'eventuale perdita di tempo nel conseguimento dei titoli di studio si tradurrebbe automaticamente in una corrispondente riduzione del periodo agevolato.
Infine, una misura del genere farebbe finalmente da argine alla fuga dei nostri migliori talenti.
Anzi farebbe dell'Italia quel paese attrattivo, anche dall'estero, del lavoro di qualità. Un paese dove converrebbe realmente andare per sviluppare un'idea imprenditoriale vincente.
Facendo sì, in ultima analisi, che in tal modo si possa ricostruire, nella piena legalità, quel clima che, in buona parte nell'illegalità, ha reso possibile il boom economico degli anni Sessanta.
"La speranza non è più quella di una volta" recitava la scritta sul muro di una grande città italiana.
Credo che misure come questa siano in grado di riaccendere quella speranza che il giovane writer lamenta di avere perso.
Perchè ? Diranno in molti.
Perchè no ? Replicando Robert Kennedy, mi vien da dire.

13/12/2012 Il Foglio