Destinare la ricchezza privata allo sviluppo delle infrastrutture

Storicamente noi italiani siamo sempre stati un popolo di grandi risparmiatori. Una capacità di risparmio utilizzato sia per costruire solidi patrimoni familiari, a cominciare dalla prima casa, sia per finanziare in un passato ormai lontano il nostro debito pubblico in un circuito tutto italiano dove il risparmio privato alimentava una spesa pubblica in costante ascesa, sprovvista di una logica di sostenibilità nel lungo periodo.

Questa nostra capacità di risparmio si è rivelata peraltro decisiva nell’ammortizzare gli impatti sociali della crisi economica che sicuramente in altri paesi ha colpito molto più duramente che da noi. Il tasso di risparmio si è pertanto ridotto negli ultimi anni, proprio per far fronte all’emergenza. E’ anche aumentata la propensione alla liquidità, sia per i rendimenti poco incentivanti degli investimenti che per l’accresciuta paura ed incertezza verso il futuro. Meglio tenere i soldi fermi, in sintesi.

Nonostante ciò la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane (tra denaro liquido, titoli, quote di fondi comuni e riserve assicurative) ammonta comunque, a fine 2018, a circa 4.200 miliardi. In lieve calo, in termini reali, rispetto al 2008 (-0,4%) purtuttavia di entità talmente significativa da collocare il nostro paese tra i primi dieci da questo punto di vista a livello mondiale. Una ricchezza finanziaria privata che assume particolare significato se confrontata con l’entità del nostro debito pubblico nello stesso periodo (circa 2.400 miliardi a fine 2018). Come a dire che disponiamo di risorse finanziarie private superiori di circa tre quarti rispetto al nostro debito pubblico. Un rapporto che in passato ha più volte ingolosito i nostri governanti che hanno intravisto in questo una fonte di possibile ulteriore imposizione fiscale (patrimoniale? tassazione dei depositi nelle cassette di sicurezza?) ovvero di negoziazione con l’Europa per nuovi e più ampi limiti di deficit consentiti.

Due scelte, a mio giudizio, entrambe sbagliate, orientate ad una logica di pura sopravvivenza di corto periodo. Senza alcuna visione prospettica. Bisognerebbe invece orientare queste risorse sul tema delle infrastrutture del nostro paese. Che sono invece una componente chiave dell’economia e della vita collettiva di qualsiasi paese e che, più di ogni altra cosa, possono decidere le sorti di un territorio e persino di un’intera nazione. Basti pensare cosa è stata l’Autostrada del Sole negli anni 60 e, assai più di recente, l’introduzione dell’Alta Velocità sulla rete ferroviaria. Si dovrebbe lanciare un grande piano strategico di investimento in nuove infrastrutture in generale (aeroporti, strade, scuole, ospedali, rete ferroviaria, fibra ottica, programmi di messa in sicurezza del territorio …) cercando di attrarre, per finanziarlo, parte di questa nostra grande ricchezza privata. Ci sarebbe però bisogno di una proposta seria, credibile, autorevole, in grado di modificare l’attuale percezione collettiva sulle opere pubbliche italiane che oggi è per lo più associata a ritardi, malcostume, corruzione e danni ambientali, facendo emergere come queste, viceversa, se correttamente realizzate, possano diventare uno straordinario motore di sviluppo, di reddito e di nuova occupazione.

La leva fiscale (altro che patrimoniale …) sarebbe al riguardo decisiva. Non si può certo pensare che sia possibile invertire questo clima di diffidenza se non vengono anche garantiti consistenti sgravi fiscali per chi desidera investire in opere pubbliche utili al paese, tali da rendere questi impieghi attrattivi e convenienti rispetto ad ipotesi alternative.

Per questo è necessario un consenso politico ampio. Non semplicemente bipartisan, ma finalmente una volta tanto “non” partisan. Nell’interesse esclusivo del nostro paese e delle giovani generazioni.

Non è pensabile che si possa davvero crescere se si continua a trascurare un tema decisivo come questo.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

10/02/2020 Il Messaggero Veneto