Chi paga davvero le tasse in Italia?

Un vecchio adagio dice che spesso le statistiche vengono utilizzate un po’ come l’ubriaco utilizza i lampioni. Più per sostegno che per illuminazione. Più per trovare conferma delle proprie tesi che per cercare effettivamente la verità.

I dati ufficiali del Dipartimento delle Finanze sulle dichiarazioni IRPEF degli italiani del 2019 (anno d’imposta 2018), resi noti di recente, ci consentono di fare qualche riflessione in grado di avvalorare l’adagio appena citato.

Molto spesso abbiamo sentito dire che, in questo Paese, le tasse le pagano solo i dipendenti ed i pensionati. Altrettanto spesso, a sostegno di questa tesi, abbiamo sentito dire che oltre l’80% del gettito IRPEF nazionale è appunto espressione di queste due categorie di contribuenti. E’ vero? Si, è vero. Secondo i dati del Dipartimento delle Finanze, esattamente l’82,5% del gettito IRPEF proviene da queste due categorie. Tuttavia sarebbe altrettanto corretto aggiungere che queste due categorie rappresentano, cumulativamente, l’84,1% dei contribuenti italiani. Quindi non è poi così strano e degno di particolare sottolineatura che corrispondano, in misura poi addirittura men che proporzionale, al gettito fiscale complessivo. E non può, soprattutto, trarsi da questo un giudizio fondato, come spesso si lascia trasparire, di potenziale infedeltà delle restanti categorie di contribuenti.

Si, ma i dipendenti pagano più tasse degli autonomi, viene pure detto. Questo invece non è vero. Sempre secondo le fonti ufficiali citate, dei 21.2 milioni di dipendenti, 4.2 non pagano addirittura nulla ed i restanti 16 milioni versano un IRPEF media di 5.300 euro. Per quanto riguarda i 13.5 milioni di pensionati, 3.1 non pagano nulla ed i restanti 10.4 milioni versano un IRPEF media di 4.360 euro. L’IRPEF media degli imprenditori è invece di 6.990 euro e quella dei professionisti di 18.630 euro.

Si, ma è troppo poca la differenza, si dice allora. Dipende. La statistica sugli imprenditori riguarda i soggetti individuali. Se si considerano i soci di società di persone, l’IRPEF media sale ancora (9.040 euro) e soprattutto non si considera che i compensi degli amministratori di società sono fiscalmente assimilati proprio a quelli di lavoro dipendente e che i dividendi distribuiti dalle società, in base agli utili conseguiti dalle imprese, costituiscono redditi di capitale. Con questo non si vuole certo negare che il fenomeno dell’evasione fiscale esista in questo Paese e che, con tutta probabilità, ne ricorra tendenzialmente chi ha maggiore possibilità di farlo. Quindi sicuramente più l’autonomo, che il dipendente o il pensionato. Si vuole dire però che un uso strumentale delle statistiche ai fini del consenso delle presunte categorie di riferimento non aiuterà mai a risolvere il problema.

Il lavoro autonomo, diciamolo chiaro, è il motore dello sviluppo di qualsiasi società che ambisce a definirsi avanzata. Se non ci fossero lavoratori autonomi non ci sarebbero neppure dipendenti nel settore privato. Ed il fatto che dipendenti e pensionati costituiscano i quattro quinti del bacino elettorale italiano non giustifica che si distorcano sistematicamente i dati per acquisirne il consenso.

Non dalle divisioni ma dall’unione della categorie produttive nascerà quella nuova Italia che troppo spesso, di questi tempi, sentiamo evocare. Solo dall’alleanza e dal rispetto reciproco di tutti coloro che lavorano, hanno lavorato o si avviano a farlo, si ricostruirà quel senso nazionale senza il quale nessun obiettivo può essere realisticamente raggiunto in maniera stabile.

Questo vale anche per la fedeltà fiscale. Non l’hanno sconfitta né i controlli né le sanzioni. La potrà sconfiggere solo la coscienza sociale. Questa però bisogna costruirla. Cominciando col dire la verità.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

24/06/2020 Il Messaggero Veneto