Ben poco per la crescita e sempre più assistenzialismo

Con una maggioranza di governo che mai come questa volta ha sfiorato l’insanabile rottura è stato alla fine approvato il cosiddetto Decreto Crescita. Quello che, nelle intenzioni, dovrebbe rilanciare l’economia e permettere, nell’anno in corso, di giustificare una crescita del nostro Pil dal +0,1%, a legislazione invariata, fino al +0,2%, così come stimata dal DEF approvato agli inizi di aprile a seguito appunto dei nuovi provvedimenti normativi ivi previsti.

Numeri assai distanti, è bene ricordarlo, dalle previsioni trionfalistiche dell’autunno scorso formulate dal governo (+1,5%), prima che l’intervento della scure europea riducesse, a dicembre, le previsioni stesse ad un meno irrealistico + 1% in sede di legge di bilancio 2019.

Pur con obiettivi come detto oggettivamente modesti, c’è da chiedersi se le norme appena approvate vadano effettivamente nella direzione di un rilancio dell’economia e rappresentino effettivamente ciò che imprese e cittadini si attendono al riguardo.

Leggendo le norme principali ed, in particolare quelle che hanno fatto maggiormente discutere fino alla quasi crisi di governo, è davvero difficile poter dare una risposta positiva.

Il cosiddetto provvedimento Salva Roma, le ulteriori norme di salvataggio della nostra scalcinata compagnia aerea di bandiera ed anche i provvedimenti a tutela dei risparmiatori vittime dei crack bancari hanno poco o nulla a che vedere con la crescita.

E se non vanno in quella direzione, diciamolo con chiarezza, sono altrettante risorse sottratte alla principale finalità del provvedimento.

Il provvedimento Salva Roma, ancorchè in larga parte rinviato, avrebbe infatti sostanzialmente istituzionalizzato in aumento il contributo di 300 milioni che comunque già oggi, dall’ormai lontano 2010 con la Lega al governo, lo Stato eroga annualmente a favore della città eterna.

Tradotto: il bilancio di Roma viene già oggi salvato con i soldi di tutti i contribuenti italiani.
Il provvedimento su Alitalia poi proroga di fatto, a babbo morto, il prestito ponte di 900 milioni concesso dal governo Gentiloni all’inizio del commissariamento della compagnia nel maggio del 2017.

Quindi ancora una volta soldi di tutti i contribuenti destinati a mantenere in vita un’azienda che, da tempo immemorabile, non è in grado di farlo con le proprie gambe.
Il provvedimento a favore dei risparmiatori danneggiati dalle crisi bancarie, infine, con tutto il rispetto per i dolorosi casi delle vittime, finirà però per rallentare la sacrosanta sete di giustizia nei confronti dei reali responsabili dei fallimenti bancari e impedirà che coloro che investono in azioni ed obbligazioni apprendano nei fatti che si tratta di un’attività potenzialmente redditizia ma anche rischiosa.
Forse dovremmo domandarci di più perché, in questo caso, le perdite debbano pagarle tutti i cittadini mentre gli utili ed i profitti precedenti siano stati invece legittimo appannaggio dei singoli investitori.

In sintesi, molto assistenzialismo e poco per la crescita.
Le sole misure meritevoli da questo punto di vista sono infatti il credito d’imposta per ricerca e sviluppo, l’aumento della deducibilità dell’IMU e la reintroduzione dell’iperammortamento.
Silenzio assoluto poi sull’aumento dell’IVA.
Dopo l’ennesima sbornia elettorale, teniamolo bene a mente, sarà quello il principale problema con cui ci troveremo a dover fare i conti.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

25/04/2019 Il Messaggero Veneto