Banche: innanzitutto bilanci credibili

Mentre la politica nazionale si confronta (e si scontra) sul tema della nomina del nuovo governatore della Banca d’Italia, a Francoforte è in corso una battaglia assai più importante per il nostro sistema bancario della conferma della poltrona di vertice del nostro istituto di credito nazionale.
La BCE ha infatti pubblicato in consultazione un addendum alle linee guida relative alla gestione dei crediti bancari deteriorati (i cosiddetti NPL, “non performing loans”) che prevede un meccanismo automatico di svalutazione totale in due anni per quelli non assistiti da garanzie (“unsecured”) e in sette per quelli garantiti (“secured”).
L’innovazione proposta non opera su base retroattiva ma si applicherà alle sofferenze classificate come tali dal prossimo 1 gennaio 2018. Dunque le nuove regole riguarderanno solo i nuovi flussi.
In buona sostanza, la copertura totale sui crediti deteriorati non garantiti dovrà avvenire nell’arco di due anni (quindi 50% all’anno), quella sui crediti garantiti entro sette (14% circa all’anno).
Quindi si vengono a ridurre gli attuali margini di discrezionalità a disposizione delle banche per gestire i crediti deteriorati in quanto le svalutazioni, dal prossimo anno, diverrebbero automatiche. Per capire l’incidenza delle nuove regole basti pensare che, attualmente, secondo l’ultimo rapporto statistico della vigilanza europea, su un totale di crediti deteriorati di 865 miliardi, 249 sono in Italia, 131 in Spagna e 110 in Grecia.
Quindi, da soli, questi paesi assommano ad oltre la metà delle sofferenze europee. Molto diversa, in questo contesto, è invece la situazione della Germania che, su una massa di 2.800 miliardi di prestiti, ha crediti deteriorati per appena 64.
Comprensibile quindi il fronte comune che vede i primi insorgere contro le nuove regole ed il principale paese europeo, viceversa, a richiederne con forza l’applicazione.
I contrari sottolineano che le nuove regole provocherebbero una stretta ai prestiti, innanzitutto alle piccole e medie imprese, che vedrebbero salire il costo del credito in modo significativo.
Oltre ad essere costretti a nuovi aumenti di capitale per permettere alle banche di mantenere un sufficiente livello di patrimonializzazione.
I favorevoli evidenziano invece la spinta a dotarsi di forme organizzative maggiormente strutturate per il recupero crediti oltre alla possibilità di progredire, riducendo i rischi, nell’integrazione e nella creazione dell’unione bancaria. Singolarmente, nessuno però ha posto adeguatamente in luce quello che mi pare essere invece il vero problema: quello della credibilità e dell’affidabilità dei bilanci.
Chi può seriamente ritenere che, dopo sette anni di tentativi infruttuosi, sia ancora esigibile un credito sia pure garantito? O, dopo due, uno che di forme di garanzia è addirittura privo?
E perché mai dovrebbe risultare legittimo far pagare ancora alle imprese sane l’inefficienza nell’erogazione e nella gestione del credito da parte delle banche? Verrebbe da dire che forse, prima di discutere se uscire dall’Europa, dovremmo stare attenti a non rischiare di uscire dalla realtà.

Claudio Siciliotti
@csiciliotti
@claudio.siciliotti

30/10/2017 Il Messaggero Veneto